LE PROPOSTE DELLA RETE DEI NUMERI PARI - NODO ROMANO




RETE DEI NUMERI PARI 
LE PROPOSTE DEL NODO ROMANO


 Il nodo romano della Rete dei Numeri Pari ha elaborato le seguenti proposte politiche attraverso 3 anni di lavoro sul campo, fatto di pratiche di mutualismo solidale, assemblee, approfondimenti, seminari, manifestazioni, conferenze e campagne. Queste proposte rappresentano obiettivi condivisi da tutte le realtà e sono state costruite praticando democrazia partecipativa e comunitaria, garantendo orizzontalità, massima partecipazione e trasparenza nella presa di decisione, rispondendo così alla grave crisi della rappresentanza politica che continua a ridurre gli spazi della partecipazione e della deliberazione, aumentando ulteriormente le disuguaglianze.


LAVORO


L’emergenza sanitaria di questi mesi ha determinato a Roma, come nel resto del Paese, una grave emergenza sociale che ha uno dei suoi epicentri sul tema del lavoro. Mentre in altre realtà metropolitane il Comune ha svolto un ruolo di stimolo e confronto con tutti gli attori (Regione, enti pubblici a vario livello, Governo, parti sociali) il Comune di Roma si è arroccato, non svolgendo questo ruolo determinante. Non solo, il Comune è il principale datore di lavoro della Capitale. Oltre al personale di ruolo, impegna decine di migliaia di lavoratrici e lavoratori nelle società partecipate, negli appalti e nei servizi convenzionati. Anziché svolgere un ruolo di garanzia sul piano occupazionale e stipendiale, che ne esaltasse, in una fase come questa, la funzione solidaristica, il Comune, in una logica burocratica e ragionieristica, ha contribuito ad aumentare gli effetti della crisi sociale del lavoro, già grave nella nostra città nei settori privati, non tutelando queste lavoratrici e questi lavoratori. Nella multiservizi delle pulizie scolastiche, 2500 lavoratrici e lavoratori sono senza stipendio da marzo, in attesa di un FIS che non arriva, con il Comune che ha sospeso i pagamenti, non accogliendo le proposte di riconversione temporanea avanzata dalle parti sociali; tutto questo mentre si procede verso un cambio di gestione previsto per il 31 luglio, senza vere garanzie occupazionali. il progetto prospettato nell’ultimo incontro con i sindacati, del 22 maggio scorso dall’amministrazione comunale (dopo tre mesi di silenzio), relativo alla creazione di una società mista pubblico/privato, partecipata dal Comune al 51%, offre garanzie sufficienti, sui tempi sul perimetro occupazionale. Altrettanto avviene per le 2000 lavoratrici delle mense scolastiche, dove su 15 ditte solo 4 sono state disponibili a sottoscrivere accordi con le parti sociali che prevedano l’anticipo del FIS, senza che anche sulla richiesta di anticipo il Comune giocasse alcun ruolo, come pure sarebbe stato possibile. Anche in questo caso la scadenza dell’appalto è per il 31 luglio, senza alcuna garanzia occupazionale. Questo significherà sommare alle evidenti difficoltà della riapertura delle scuole a settembre, quelle organizzative e sociali dovute a questi cambi di gestione. I servizi convenzionati tanto in campo socio assistenziale che in quello educativo e scolastico si sono scontrati con l’iniziale rifiuto del Comune di riconoscere per intero il contributo pubblico, lasciando scoperti dallo stipendio numerosi lavoratori e lavoratrici; contributo pubblico tuttora non interamente riconosciuto da tutti i Municipi. Tutto ciò aggravato da un’interpretazione rigida e burocratica circa l’incompatibilità tra un contributo pubblico parziale e un FIS o una cassa in deroga proporzionalmente parziale. Quest’ultima questione risolta solo ora con una disposizione normativa esplicita contenuta nel D.L. 34 dello scorso 19 maggio. Questo atteggiamento di chiusura sta conducendo numerosi nidi convenzionati verso una condizione di crisi irreversibile con le prevedibili conseguenze occupazionali e di aumento delle domande che i nidi comunali saranno in grado di soddisfare. Tutto questo considerando, l'inserimento della clausola sociale, che prevede garanzie occupazionali in caso di cambio appalto nei capitolati dei bandi, rimane per noi una richiesta imprescindibile. Ci sono voluti due mesi per arrivare ad un accordo il 9 maggio, che desse un minimo di certezze (e restituisse lo stipendio) ai 3000 ex AEC, oggi OEPA, con la riconversione al 100% dei servizi con l’avvio dell’attività di sostegno alla didattica a distanza, fino alla conclusione dell’anno scolastico in corso. Intanto, i 270 lavoratori e lavoratrici di RM impegnati nella raccolta dei rifiuti delle utenze non domestiche sono in via di licenziamento senza che il Comune dia risposte e si pronunci sull’unica soluzione percorribile per scongiurare i licenziamenti: l’internalizzazione del servizio e del personale attualmente impiegato in AMA.

                                                                                                                               ACCOGLIENZA


Nel maggio 2020 risultano essere presenti a Roma 26 enti del terzo settore (associazioni o cooperative) operanti in convenzione con il Dipartimento politiche sociali di Roma Capitale, che erogano 84 servizi diversi rivolti a persone senza dimora o migranti. Il totale dei posti di accoglienza istituzionali messi a disposizione dal circuito è variabile in funzione dei periodi dell’anno e delle emergenze, climatiche o sanitarie in corso. Senza considerare 1500 posti del circuito SIPROIMI per migranti con permesso di soggiorno per protezione internazionale, finanziato dal Ministero dell’Interno e gestito assieme all’ANCI, per le persone senza dimora sono disponibili, nel periodo cosiddetto ordinario, circa 1000 posti, 300 dei quali riservati a migranti che per tipologia di permesso  di soggiorno, non posso accedere al SIPROIMI. I richiedenti asilo, sono collocati fra i diversi Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS) e il sistema SPRAR, in luoghi nei quali spesso risulta impraticabile ogni percorso di autonomia e inclusione. Roma è la città in cui, da queste storie di sofferenza, si sono realizzate le peggiori speculazioni: la vicenda di “Mafia Capitale” ne è la dimostrazione. Per le politiche che coinvolgono rom e rifugiati, con soluzioni ed approcci diversi, l’amministrazione comunale deve produrre cambiamenti e segnare un elemento di radicale discontinuità con le esperienze passate. Il sistema di accoglienza romano è passato negli ultimi anni da un sistema ordinario concentrazionista ad una accoglienza legata a trasferimenti economici non comunali (CAS e SPRAR). Le alte concentrazioni determinatesi negli ultimi tempi, generano ghetti ed esclusioni, impediscono il realizzarsi di percorsi di autonomia e inclusione. L'idea concentrazionista rispondeva, e spesso risponde ancora, ad un certo simbolismo da stato che controlla, che rende visibile la reclusione collettiva di chi minaccia la nostra vita. Ma il concentramento dei rifugiati in pochi luoghi sovraffollati, ha fatto cortocircuito con quelle realtà periferiche già degradate e abbandonate, che li ospitavano e li ospitano ancora. La retorica e la narrazione razzista si è saldata con l’idea che quello che veniva descritto come un concentrato di criminalità e presunto terrorismo, fosse scaricato sulla periferia come ulteriore elemento di degrado e di abbandono. Siamo convinti che la “sicurezza” si produca realmente garantendo politiche di sostegno, che tolgano alibi ad ogni guerra fra ultimi e penultimi e migliorino le condizioni materiali di vita di ognuno. Bisogna ribaltare questa logica investendo le proprie energie e professionalità su di un modello di accoglienza diffuso, fatto di piccoli centri in appartamenti, scommettendo sull'autonomia dei rifugiati e delle rifugiate, sulla qualità delle prassi di inclusione e non sulla quantità e sul fatturato. Progetti che mirino al passaggio in condizioni di indipendenza degli ospiti. Tornando alle risorse indicate in apertura, il numero di persone diverse in stato di disagio estremo che nel 2019 hanno richiesto aiuto ed alloggio al Dipartimento Politiche Sociali supera le 21.000 unità, di queste 4500 afferenti al circuito SIPROIMI. L’Istat nel 2014 aveva stimato essere presenti a Roma 7800 persone senza dimora delle 50.000 in tutto il Paese. Sebbene allora non si possa immaginare che tutte le 21.000 persone abbiano richiesto contemporaneamente una accoglienza, la sproporzione tra la domanda e l’offerta rimane comunque enorme; anche fossero solo le circa 8000 contate dall’ISTAT. Semplificando, è come se ogni 20 persone che richiedono accoglienza, solo 3 hanno la possibilità di trovare un posto. D’altronde, gli stabili di proprietà di Roma Capitale dove vengono erogati i servizi si contano sulle dita di una mano, rappresentando neanche il 10% del totale. Questo significa che la capacità di accoglienza della nostra città non è legata a risorse istituzionali, ma private, ossia ad enti che nel tempo hanno adattato la loro mission e parte del loro personale, trasformandosi da operatori del sociale a operatori del mercato immobiliare. Non avere un luogo dove poter svolgere un servizio significa il più delle volte non poter partecipare ad un bando. Questo concentra ovviamente le capacità di intervento, e quindi di trattativa economica, nelle mani di pochi grandi enti, riservando ai più piccoli un ruolo di gregari, con una scarsa possibilità di sopravvivenza se non con grandi sacrifici e tanta fatica. Questa situazione è frutto di una incapacità di programmazione a lungo termine che negli ultimi anni ha caratterizzato il nostro sistema di accoglienza. La presa di posizione politica di ogni nuova componente al governo, la mancanza non solo di conoscenza delle problematiche delle persone assistite, ma anche di consapevolezza degli stessi servizi finanziati, unite alla necessità imprescindibile di creare comunque e ad ogni costo discontinuità, ha minato fortemente le capacità di evoluzione di un sistema insufficiente e ormai superato nella logica organizzativa. In tutto questo l’inerzia burocratica e, purtroppo, spesso l’incompetenza o se vogliamo la diversa competenza, delle persone collocate nei ruoli apicali della macchina sociale di Roma, unita alla scarsità effettiva di fondi a disposizione, non sta facendo

altro che trascinare il sistema verso un baratro da cui sarà difficile riemergere se non si interverrà subito, con azioni concrete e misure drastiche e risolutive. E soprattutto se non saremo capaci di nuovo di sognare il sistema di accoglienza che vorremmo. Ne abbiamo avuto un esempio durante questa emergenza sanitaria che ancora sta tenendo in scacco i servizi di assistenza della nostra città. Ad oggi, ormai nel pieno della Fase 2 della pandemia, non è ancora possibile accogliere nuove persone rispetto a quelle già presenti all’interno dei centri. Finché non verrà definito un protocollo sanitario dedicato, il sistema resterà bloccato. Questo vale per entrambi i circuiti, quello per migranti e quello per le persone senza dimora. Il SIPROIMI di Roma, assieme a quello della Lombardia, sono gli unici due progetti che al momento non permettono l’accoglienza di nuovi migranti nei centri, oggi vuoti per oltre il 30%, favorendo così l’aumento delle persone a cui rimane la strada come unica soluzione di sopravvivenza. Bisogna considerare in questo che, in particolare nel circuito per migranti, il ricambio nei centri di accoglienza è del 50% ogni anno. Questo significa che, sebbene i confini regionali risultino ancora formalmente chiusi, il vecchio 50% resta nelle strutture e il nuovo, o almeno quello che riesce ad arrivare, si riversa per strada. Nel frattempo la povertà relativa sta rovinando sulla povertà assoluta, che sta implodendo nella povertà estrema, e la città si riempie, giustamente, di baracche e tendopoli; di persone che hanno perso tutto e non hanno nulla da perdere. Da piazza dei cinquecento, alla stazione Termini, fino alle zone più remote della città, le abitazioni improvvisate di cartoni e stracci continuano ad aumentare, giorno dopo giorno. E molte di quelle che le forze dell’ordine non riescono a sgomberare, capita anche che prendano fuoco. Con le imprese che non ce la fanno a ripartire e i dispositivi di supporto economico che faticano a concretizzarsi, le persone che bussano agli sportelli di aiuto continuano ad aumentare. In tutto questo si percepisce nettamente l’assenza di un coordinamento centrale di Roma Capitale che, invece di supportare gli organismi che non hanno mai smesso di mettere a rischio i propri operatori pur di continuare ad erogare servizi di “pubblica utilità”, sembra essersi barricata dietro delibere ed ostacoli burocratici che non fanno altro che appesantire un sistema già fortemente provato. Ne frattempo tutti i problemi che c’erano prima dell’emergenza sanitaria non solo continuano ad esserci, ma aumentano. E così l’assenza di una residenza diventa elemento discriminante anche solo per una visita medica o per ottenere un sussidio; il ritardo o l’incapacità nell’utilizzo di fondi ministeriali (quali ad esempio il PON Inclusione) impedisce l’avvio di soluzioni abitative aggiuntive, che potrebbero ridare se non respiro almeno speranza per un nuovo modello di accoglienza; l’incapacità di raccogliere i suggerimenti governativi per facilitare la gestione economica dell’emergenza (vedi possibilità di utilizzo dei fondi FEAD già in disponibilità del Comune per l’acquisto di dispositivi di protezione), ha affaticato le casse delle organizzazioni costrette, volenti o nolenti, a provvedere da sole ed a proprie spese alla tutela non solo dei propri operatori, ma anche dei cittadini più poveri della nostra città, ospitati “istituzionalmente” nelle loro strutture. Anche il coinvolgimento della politica, sembra sporadico e a volte opportunistico. Le persone senza dimora per lo più non votano, danno visivamente fastidio ai cittadini, occupano spazi pubblici, ma possono rappresentare un ottimo strumento di visibilità, perché parlarne fa notizia e presa sulla gente, particolarmente sensibile in questo periodo di “male comune”. Comunque occuparsene va bene, ma non troppo, mi raccomando. Il coraggio quindi dell’assemblea capitolina nei confronti del “Tema Sociale di Roma” dovrebbe essere quello di decidere di affrontarlo e dedicare tempo e risorse per studiarlo, analizzarlo, capirlo per tentare almeno di gestirlo, assieme a quegli organismi che oggi rappresentano la storia e la memoria di una Roma Sociale piena di buona volontà, inficiata però dalla mancanza di capacità programmatica, strategica e organizzativa istituzionale.


ABITARE


Il blocco delle attività lavorative imposte dal Governo a seguito della grave crisi sanitaria, ha gettato nell’emergenza casa, e non solo, ampi settori sociali nella città di Roma e a livello regionale, centinaia di migliaia di nuclei anche monofamiliari, di studenti e precari, si sono visti ridurre il reddito o sono rimasti senza lavoro. In tantissimi non hanno potuto pagare gli affitti e le utenze. I provvedimenti messi in atto dalla Regione Lazio e gestiti dal Comune di Roma, compresi quelli governativi inseriti nel Decreto Rilancio, sono assolutamente insufficienti e parziali. In particolare risulta all’evidenza di tutti la scandalosa esclusione - grazie all’ideologico articolo 5 del Piano Casa 2014 firmato da Renzi e Lupi -dei settori di popolazione più povera dalla presentazione di

domanda per qualsiasi forma di assistenza e sostegno sociale a cui avrebbero diritto. Di contro la crisi pandemica ha momentaneamente messo in second’ordine il problema degli sfratti e degli sgomberi, almeno fino al primo settembre. Da quella data però, se non saranno messe in campo vere soluzioni abitative, ricadremo nel vortice dell’emergenza sgomberi. Questa pandemia è esplosa qualche giorno dopo l’approvazione da parte del Consiglio Regionale della Legge, tra l’altro molto restrittiva, per la regolarizzazione degli inquilini “senza titolo” delle case popolari e ad oggi non sono state approvate le delibere utili a stabilire i criteri per accedere a questa opportunità e per la presentazione delle domande. Ma quello che sta succedendo in questi ultimi mesi ci obbliga a rimettere al centro del dibattito e della nostre iniziative di lotta il tema della politiche pubbliche dell’abitare e dell’utilizzo del patrimonio pubblico e privato disponibile/invenduto. Il riuso della città, la sua rigenerazione senza ulteriore consumo di suolo. Su questi temi chiediamo un confronto urgente.


COOPERAZIONE


In questa fase così difficile per tutti, c’è un esercito di cooperatrici e cooperatori sociali, che si muove nelle città, intento a fornire assistenza a domicilio alle persone sole e in difficoltà. Non sono volontari, ma lavoratori, professionisti del sociale: Operatori Socio Sanitari, Educatori, Assistenti Sociali, Psicologi , tutti lavoratori della Cooperazione Sociale che, per conto dei Comuni, in tutta Italia, assistono persone anziane, persone diversamente abili , famiglie e minori in difficoltà. Operatori sociali che non compaiono nei telegiornali, di cui raramente si scrive sui giornali e di cui pochi conoscono il lavoro che svolgono. Persone che, in questo periodo di emergenza, si sono messe in gioco per uscire ogni giorno in strada e portare aiuto a chi più ha bisogno. Molte di queste persone hanno dovuto sospendere il loro lavoro successivamente ai vari decreti che hanno sancito la chiusura di tutti gli spazi di aggregazione. A cominciare da scuole e nidi, dove educatori e assistenti a persone diversamente abili, sono state costretti a fermarsi e rimanere a casa. Così come sono stati chiusi tutti i Centri Diurni per le varie fasce d’utenza, fermando il lavoro di Operatori Socio Sanitari, Educatori, Psicologi e Assistenti Sociali. Ma anche il Servizio di Assistenza Domiciliare a tutte le fasce d’utenza, ha subito una flessione impressionante di prestazioni rese, lavoro in meno perché gli utenti, temendo il contagio, hanno paura di far entrare in casa operatrici e operatori. Proprio per tutelare la sospensione del lavoro a causa dell’emergenza, il decreto Cura Italia sancisce che Durante la sospensione dei servizi educativi e scolastici e dei servizi sociosanitari e socioassistenziali, le pubbliche amministrazioni sono autorizzate al pagamento dei gestori privati dei suddetti servizi per il periodo della sospensione, sulla base di quanto iscritto nel bilancio preventivo. La ratio di questa decisione sta nella necessità di non mandare in sofferenza l’intervento dei servizi sociali, di non mettere in difficoltà i lavoratori sociali che devono continuare a lavorare nel periodo d’emergenza, utilizzando fondi che sono già stanziati e previsti per i servizi. Se non ci fosse l’immediata copertura da parte degli enti locali, ci sarebbe il mancato fatturato delle cooperative sociali con l’immediata conseguenza di non poter pagare stipendi al personale e con la necessità, visto il prolungarsi dell’emergenza e quindi della riduzione del lavoro, di dover attivare lo stato di crisi aziendale e il conseguente ricorso agli ammortizzatori sociali. E sta accadendo esattamente questo. Non tutti vogliono leggere l’articolo 48 del decreto nello stesso modo. Diversi comuni anche della Regione Lazio, forzando le interpretazioni delle parole e non considerando la ratio del decreto, intravedono la possibilità di non pagare i servizi sospesi per l’emergenza considerandoli semplicemente servizi non effettuati. Poiché non esplicitata nel decreto l’obbligatorietà di pagamento “vuoto per pieno” da parte degli enti locali, si vuole utilizzare il risparmio ottenuto dal mancato pagamento per fare cassa . Roma Capitale si allinea su questa interpretazione. La Sindaca Raggi, attraverso l’assessora Veronica Mammì e i dirigenti dipartimentali Serra e Massimiani, non ha intenzione di corrispondere il dovuto alla Cooperazione sociale, creando di fatto uno stato di emergenza del lavoro e di tenuta del sistema dei servizi sociali a Roma. Neanche la deliberazione di Giunta Regionale del Lazio n.171 del 7 Aprile 2020, emanata per esplicitare le modalità di applicazione dell’art. 48 del Cura Italia, è riuscita a rimuovere il “blocco” dei pagamenti esercitato dai Comuni della Regione con Roma in testa. Diverse Cooperative Sociali hanno già dichiarato lo stato di crisi ricorrendo al fondo di integrazione salariale per cercare di non soccombere in questo periodo. Questo significherà la riduzione di stipendi, già miseri, a cooperatori sociali che pensavano di lavorare con  l’amministrazione  pubblica;  pensavano  che  il  Comune  di  Roma  avesse  rispetto  per  la  dignità  la

professionalità dimostrata in oltre 40 anni di lavoro. Le cooperative sociali a Roma si sono impegnate, in questo periodo che non ha precedenti, senza mai interrompere il lavoro con abnegazione e spirito solidaristico, nel riorganizzare tutti gli interventi nella città, rimodulando le prestazioni verso gli utenti per non lasciare sole le persone più fragili. Un lavoro di riorganizzazione fatto in solitudine, senza l’ausilio dell’ente pubblico letteralmente scomparso nella primissima fase di emergenza. È ben chiara la vergognosa volontà di Roma Capitale di fare cassa con quanto dovuto alle cooperative sociali, nonostante la copertura prevista, per gli Enti Locali, dai vari decreti emanati dal governo con i fondi ad essi destinati per tutto il periodo di emergenza. La non curanza di quelle che possono essere le conseguenze di queste azioni per tutto il comparto dei servizi sociali nella capitale, mettono bene in evidenza l’incapacità, di questa Sindaca e della sua Giunta, di governare questa città e di tutelare  i suoi cittadini.


DELIBERA 140


L’amministrazione Raggi sul tema della gestione del patrimonio pubblico si è caratterizzata per la sola riacquisizione del patrimonio di proprietà comunale, senza possibilità alcuna di riassegnazione. In sostanza l’amministrazione ha agito sulla base del solo presupposto proprietario ed ha ignorato tutte le conseguenze pratiche e giuridiche che questo comporta, tra le quali l’interruzione delle attività esercitate all’interno degli immobili di proprietà comunale, la sospensione della percezione del canone di locazione e l’aumento del “fitto passivo”. Tutto ciò comporta non pochi dubbi in ordine alla conformità dell’operato della Pubblica amministrazione al principio di buon andamento della stessa, di cui all’art. 97 della Costituzione. Nello specifico nella delibera 140 del 2015 si trovano riferimenti al patrimonio disponibile, indisponibile ed ai beni comuni. Come mezzo per conseguire il fine si individua la riacquisizione dell’intero patrimonio immobiliare di Roma Capitale, senza prevedere alcun regime transitorio che permetta il prosieguo di tutte quelle attività esercitate dalle associazioni concessionarie degli immobili comunali, che a seguito del provvedimento di riacquisizione resterebbero sospese. La delibera 140 del 2015 non risulta assolutamente condivisibile, poi, ove prevede il passaggio dei beni dal patrimonio indisponibile a quello disponibile, con conseguente applicazione del regime locatizio e messa a reddito degli immobili. Risulta in questo modo lampante che uno dei principali propositi dell’atto in questione, come espressamente scritto nella stessa, è quello di “considerare la redditività del patrimonio pubblico al fine di definire maggiori risorse economiche per la città, provvedendo alla sua migliore finalizzazione”. La questione della gestione del patrimonio edilizio di Roma Capitale non può e non deve essere risolta secondo la categoria di appartenenza catastale e, quindi, secondo la classificazione di patrimonio disponibile o indisponibile, secondo quanto risulta dai registri catastali di Roma Capitale, che non risultano essere aggiornati. Il punto di partenza per una corretta gestione del patrimonio pubblico deve essere quello delle persone e delle associazioni che da anni operano sul territorio, in applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale di cui all’art. 118 della Costituzione. L’importanza di queste associazioni e dei cittadini è stata evidente anche nel periodo di lock down, in cui le associazioni hanno rappresentato l’unico sostegno per le famiglie in difficoltà, di fronte ad una macchina amministrativa troppo farraginosa e non in grado di fornire risposte adeguate. Rifiutiamo la logica che l’operato delle amministrazioni debba essere commisurato e in un certo senso valutato in relazione al valore dell’immobile in cui esse operano, e per tale ragione è fondamentale e non più rinviabile il riconoscimento da parte dell’amministrazione capitolina del valore delle associazioni, che nonostante tutto fornisco quotidianamente servizi di prima necessità ai cittadini. l’amministrazione Raggi, anche in spregio agli impegni presi in campagna elettorale, in questi anni non ha avuto la capacità il coraggio di superare definitivamente la delibera 140 votata dalla Giunta Marino. Noi chiediamo, pertanto, la riscrittura della deliberazione n. 140 del 2015 e lo stop ed il ritiro di ogni lettera di riacquisizione forzosa degli immobili di proprietà comunale, almeno sino a quando non sia emanata una delibera che tenga conto dei principi enunciati e permetta alle associazioni una programmazione adeguata delle attività future.



BENI CONFISCATI E WELFARE MAFIOSO


Le organizzazioni di stampo mafioso sono uno dei fenomeni più preoccupanti per il futuro della città di Roma. Qui, infatti, trovano spazi inediti le organizzazioni tradizionali, da cosa nostra alla ‘ndrangheta. Qui sono cresciuti nuovi clan, le mafie autoctone, che impongono la loro legge nei quartieri della città, proprio dove il disagio economico e sociale si fa più forte. Roma è attraversata oggi da un fiume di droga, e i soldi delle mafie comprano ogni giorno un pezzo di economia della città, disegnando nuovi equilibri criminali e sociali. Tra le strade che occorre percorrere per invertire questa tendenza, la confisca dei beni rappresenta oggi ancora di più uno strumento fondamentale per sottrarre ricchezze alle mafie, e per restituirle alla collettività. Dal 1996, con la legge 109/96 voluta fortemente da Libera, si possono non solo requisire i loro patrimoni, ma soprattutto costruire luoghi di giustizia, di solidarietà, di riscatto sociale ed economico, proprio a partire da quei beni. Nel comune di Roma sono ormai 283 i beni immobili confiscati alle mafie e già destinati dall’Agenzia Nazionale Beni Sequestrati e Confiscati (ANBSC) per essere utilizzati secondo quanto prevede la legge. Sono 518 quelli ancora gestiti dall’Agenzia, e che presto verranno destinati. E ancora sono migliaia quelli che il Tribunale di Roma ha posto sotto sequestro. Un patrimonio di risorse che deve essere restituito alla città e ai suoi abitanti. Per queste ragioni la Rete dei Numeri Pari (di cui anche Libera fa parte) si è battuta nel 2018 per ottenere l’approvazione di un regolamento comunale (delibera num. 80\2018), che definisse le modalità di gestione degli immobili, stabilendo regole certe e pratiche di condivisione che rendessero questo patrimonio davvero di tutti. Un passaggio fondamentale, un primo passo certamente da migliorare, realizzato dopo mesi di confronto che abbiamo dovuto richiedere con forza. Il regolamento è rimasto però, almeno in parte, lettera morta, nonostante le ripetute interlocuzioni con l’amministrazione, e la necessità di migliorare alcuni aspetti. A due anni dall’approvazione, infatti, non è ancora stato convocato il Forum previsto all’articolo 24 dello stesso regolamento, da attivare entro 6 mesi dall’approvazione. L'unica traccia del forum si ritrova negli atti delle commissioni in cui siamo intervenuti con le nostre proposte: abbiamo chiesto uno spazio aperto a tutte le realtà sociali, che possa funzionare attraverso tavoli di lavoro e sedute plenarie, e che sia il luogo del confronto per progetti partecipati, per proporre istanze e idee, nonché modifiche allo stesso regolamento, a partire dalla durata degli affidamenti dei beni oggi troppo brevi. Insomma il luogo in cui si possa creare quel collegamento tra mondo del sociale e istituzione che oggi manca, e che darebbe uno slancio alle progettualità da attivare sui beni confiscati. L’ultima commissione dedicata all'istituzione del forum si è tenuta il 18 aprile 2019, poi il silenzio. Ancora una volta il confronto, la partecipazione, il coinvolgimento dei corpi sociali rimane fuori dalle procedure e dagli spazi democratici ideati proprio per facilitare il corretto utilizzo dei beni e rendere questa forma di antimafia una pratica collettiva, diffusa e di base.


Rete dei Numeri Pari - A buon diritto - associazione per le libertà | ACTion Diritti in Movimento | ADBI - Associazione Donne Brasiliane in Italia | APS FARERETEONLUS | Arca di Noè Cooperativa Sociale Onlus | Arci Roma | ARS L'associazione per il rinnovamento della sinistra | Associazione Che  Guevara | Associazione culturale  "Laura Lombardo Radice"  | Associazione Culturale Colibrì  | Associazione DaSud | Associazione Ex lavanderia | Associazione Salviamo la Costituzione | AssoLei - sportello donna | ASTRA scsrl | ATDAL OVER 40 | Attac Roma

| Be Free Società Cooperativa Sociale | Biblioteca Mondo Piccolo | BIN Italia - Basic Income Network Italia | Binario 95 | Brigate Garibaldi Sankt Pauli | Camera del lavoro Roma sud - Pomezia - Castelli | Casa del Popolo di Centocelle | Casa Internazionale delle Donne | Casal Boccone 112 | CGIL - Roma e Lazio | CIES Onlus | Cinecittà bene comune | Circolo Arci Sparwasser | Cittadinanza e minoranze | Comitato di quartiere Casal Bernocchi | Comitato Nazionale Articolo 3 | Comitato Nazionale Per il ritiro di ogni autonomia differenziata | Comitato Popolare Difesa Beni Pubblici e Comuni "Stefano Rodotà" | Comitato Quartiere Romanina | Consulta Cittadina sulla Centralità Urbana Santa Maria della Pietà | Cooperativa Santi Pietro e Paolo Patroni di Roma | Cooperativa Sociale Eureka I Onlus | Cooperativa sociale Folias onlus | Cooperativa Sociale Prassi e Ricerca onlus | Coordinamento per la Democrazia Costituzionale di Roma | Coordinamento Docenti contro mafie, povertà e razzismo | Crs - Centro per la Riforma dello Stato | CSV Roma e Lazio | Donne di Carta | Emmaus Roma | Europe Consulting | Eutropian Associazione | Falegnameria 41 | Famiglie del Caravaggio occupato | fio.PSD | FIOM di Roma e del Lazio | Forum Nazionale Agricoltura Sociale | Friday for future Roma | Il Cigno cooperativa sociale A R.L. | Il Pungiglione Società Cooperativa Sociale Onlus | Il Salto | ISKRA cooperativa sociale onlus

| Istituto Comprensivo Via dei Sesami  | Keccevò - persone per le  persone | La Cacciarella cooperativa sociale | La frangia | La Talpa Associazione di Promozione Sociale | LEGACOOPSOCIALI LAZIO | Libera Roma | Link Roma | Lo Yeti | Made in jail | Movimento Nonviolento Roma | Movimento Tellurico - trekking ecologia e solidarietà | NetLeft | NoDi | Nonna Roma | Parrocchia San Giustino | ParteCivile-Marziani in movimento | Planet 2084 | Popìca Onlus | Presidio "Rita Atria" di Roma VII Municipio | Presidio di Libera "Francesco Borrelli" - IV Municipio | Presidio Libera Francesco Vecchio - Municipio III Roma | Presidio Libera "Ilaria Alpi e Miran Hrovatin" - Municipio IX Roma | Presidio Libera Roma II Municipio "Roberto Antiochia" | Progetto Diritti | Rete della conoscenza | RETE NOBAVAGLIO - Liberi di essere informati | Rimuovendo

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