I ragazzi del FfF ci danno una lezione primaria ‘’non c’è più tempo’’. Pensare di cambiare le cose
introducendo pillole di saggezza nei programmi politici (una spolverata di verde) non ci serve, la
mancanza di risorse unita al cambiamento climatico ha nome e cognome ‘’rapina per il profitto’’ e
quando il tasso di profitto decresce si fa più violenta e distruttiva e la storia è impregnata di lezioni,
le risorse sono il motore del capitalismo di conseguenza per esse non ci si fa nessuno scrupolo a fare
guerre, genocidi e a perpetrare con varie forme il colonialismo e a distruggere il pianeta. E ci fanno
credere che sono i nostri comportamenti individuali a creare i problemi e che siamo noi a doverli
risolvere: dopo averci culturalmente impresso che non c’è alternativa, che il nostro modo di vivere è
il migliore, che non si può rinunciare alla crescita, ecc. Invece scopriamo che in ogni angolo della
nostra vita ci sono scelte ben precise e interessi calcolati per produrre ricchezza, ma sempre mal
distribuita perché i poveri (sociali o ambientali che siano) sono sempre ricattabili.
Quindi l’ambientalismo senza lotta al capitalismo è giardinaggio. (Chico Mendes)
Dobbiamo avere il coraggio di pensare a una demercificazione dei così detti ‘’beni comuni’’ in
modo che vengano tolti dalle logiche di mercato e dalla finanziarizzazione. Il controllo dell’Energia
non può che essere pubblico, non si può pensare di fermare la deriva fossile lasciando alla finanza le
scelte di questo settore alla faccia del ‘’green new deal’. Tutti i settori strategici per una transizione
ecologica devono essere governati non dagli interessi economici, ma dagli interessi sociali e
ambientali. La conversione ecologica non è un fatto solo tecnico; è soprattutto un processo sociale,
che deve coinvolgere milioni, e poi miliardi di persone consapevoli e capaci di confrontarsi con il
contesto in cui ciascuno vive, studia o lavora.
Si deve fare politica economica, e non la può fare il mercato. La privatizzazione di energia, dati, sanità, ecc. non fanno altro che spogliare una nazione del suo patrimonio democratico e di definire il proprio futuro.L’industrializzazione dell’agricoltura, la sua globalizzazione ha prodotto dei danni quasi
irreversibili, sia a quella nazionale , ma anche a quella dei paesi poveri che non possono competere
con il mondo occidentale e di conseguenza muoiono di fame per produrre merci x noi.
Questo determina in primis le migrazioni, che prima di essere climatiche, sono di predazione
economica.
Non dobbiamo aver paura a pronunciare le parola autarchia quando si parla di agricoltura, non è
possibile importare alimenti provenienti dall’altra parte del mondo e coltivare mais x metterlo nei
biogas/biometano. (legame consumi di acqua e mais).
Sul chi paga la transizione noi proponiamo di percorrere questa via:
- ripubblicizzare totalmente Cassa Dep. e Prestiti e farla diventare una banca pubblica
d’investimenti che, con indirizzo preciso, finanzi i progetti di riduzione consumi energetici,
transizione e indipendenza agricola, ecc,
- che venga alimentata non solo con il risparmio postale, ma anche con l’avanzo primario dello stato
una volta depurato il bilancio da debito illegittimo e spese antidemocratiche (armi, F35, missioni
militari,ecc.)
- aprire una vertenza legale su come siano aiuti di stato i contributi a biogas/biometano (sono fonti
fossili, non una transizione come dicono i padroni del fossile)
- nonostante l’accordo delle regioni padane e il riconoscimento della particolarità bacino padano per
la riduzione degli inquinanti nell’aria continua l’incentivazione sulla retorica del ‘’ci serve
energia’’, cioè ‘’pubblicità ingannevole’’
Il mantra (con l’avvento di internet) della smaterializzazione, si è perso per strada quando si è
scontrato con gli interessi di chi estrae/trasporta /controlla/produce/vende.
Come superare l’impasse?
Dalla capacità di affrontare qui e ora la questione della crisi climatica, senza aspettare che a
muoversi siano altri paesi e altri Governi, ma con la convinzione che l’esempio ha un effetto
trascinante e che chi la affronta prima si troverà in vantaggio mano a mano che gli effetti della crisi
si faranno più pesanti, dipende alla fine dalla possibilità di ricondurre la politica al suo
significato originario, che è quello di autogoverno. Cosa che non potrà mai realizzare una politica
chiusa nel quadro dell’attuale sistema politico, tutto legato al mito fasullo devastante della
“crescita”. Il tempo per agire è ora.
Dobbiamo superare i nostri limiti territoriali e culturali, gli ambientalisti solitari, le piccole
associazioni, i gruppi di protesta, sono nel complesso una forma di difesa (orizzontale), con la
conseguenza nel tempo di scomparire x consunzione o diventare rappresentanti di se stessi, ma ora
ci serve una energia x cambiare lo stato di cose, l’ambientalismo/ecosocialismo deve trasformarsi in
una forza che intacca il concetto di progresso e le idee-guida della civiltà industriale, che hanno
portato all'attuale modo di vivere e quindi al dramma ecologico, darsi quindi degli obbiettivi che
siano strutturali, irreversibili e sistemici, dobbiamo appropiarci di contenuti, modalità (forse le
nostre sono arcaiche) e strumenti (ns scalcinati) e saperi, dobbiamo quindi rispondere anche al
problema ambiente/lavoro. Dobbiamo porci finalmente il problema del potere.
Cercando di fare i conti con la disperazione che è sempre dietro l’angolo in questi tempi e
ricordando che, per quanto terribile sia (e lo è), abbiamo delle potenzialità collettive che sono sopite
ma che potrebbero svegliarsi molto più velocemente di quanto possiamo immaginare.
La questione ambientale è direttamente collegata al sistema di produzione. Dichiararsi
ambientalisti, assumere la incompatibilità del capitalismo con la sopravvivenza del pianeta e con la
qualità della democrazia significa costruire un soggetto politico che abbia una visione conseguente
e una organizzazione che va dal locale al globale con relazioni territoriali e transnazionali stabili e
coese, che utilizzi in chiave democratica partecipativa le piattaforme digitali sia a livello comunale
che nazionale che transnazionale. Un soggetto politico che si batta affinché vengano costituiti
soggetti pubblici farmaceutici, digitali e energetici che garantiscano democraticamente a tutti la
fruibilità dei servizi e dei risultati delle ricerche. Va costruito un soggetto politico che abbia nella
ricerca e nella pratica un obiettivo primario pari a quelli della organizzazione: preveda la parità di
genere.
Per la prima volta nella storia della modernità, la società sta cambiando più in fretta del pensiero
che dovrebbe comprenderla (e criticarla). Finora, a fronte delle crisi ricorrenti, la teoria sociale è
sempre riuscita a indicare delle vie di uscita. Oggi, pur in presenza di una crisi dagli effetti sociali e
ambientali devastanti, non emergono modelli alternativi a quello esistente. Il pensiero non riesce a
emanciparsi dalla visione "orizzontalista" che permea di sé il mondo neoliberale, malgrado tale
visione appaia del tutto incapace (o non vuole) di affrontare le sfide del presente.
Non proponiamo la creazione di un partito o di un qualcosa che si confronti elettoralmente,
vorremmo che dai territori uscisse una strategia chiara e unanime x disegnare una serie di
richieste/lotte di tipo strutturale da coniugare sia a livello nazionale che a livello locale. Una unità di
lavoro su alcune tematiche che diventino patrimonio di tutti. Chi lancia questa sfida? I gruppi
dirigenti dei soggetti sconfitti negli ultimi venti anni che non sono riusciti ad andare oltre i propri
piccoli partiti-orticello? Oppure la somma dei tanti movimenti sociali e culturali che in questi anni,
rifiutando e disconoscendo la necessità di una soggettività politica, hanno ottenuto sì spazi di
visibilità mediatica per battaglie giuste, ma settoriali, di difesa e alla fine di esiguo risultato
strutturale e politico?
Penso ci sia bisogno di un nuovo inizio che apra un dibattito ampio e senza liturgie su come
declinare la strategia, le tattiche, i programmi, la democrazia interna, le politiche internazionali, che
avvii il soggetto.
Come ripartire? Non lo sappiamo. Coloro che hanno diretto associazioni o partiti in questi anni
dichiarano da subito di non candidarsi a dirigere nulla, ma si mettono a disposizione con la loro
esperienza, conoscenza e relazioni maturate, per lavorare nel nuovo soggetto in costruzione come
atto di generosità di fronte alla drammaticità della fase e al buco nero nel quale siamo precipitati.
È una proposta confusa? Secondo i canoni classici non è chiaro come si esce? Si produce la
necessità di altro? Si sancisce la definitiva inconsistenza/impalpabilità di pensiero di figure non in
grado di avanzare un passo? Certo che si!
Sarà comunque l’avvio di una riflessione collettiva in assenza della quale ciascuno continua a
soffrire della sindrome di Omphalos, cioè continua a guardare al proprio ombelico.
Analizzare il perché degli accadimenti globali con la mente libera dalla sovrastruttura culturale
economico/estrattivista e proporsi degli obbiettivi coniugabili anche localmente con la semplicità
che la natura ci insegna è per noi la via maestra.
Mariagrazia Bonfante (ex Sindaco e attivista di Salviamo il paesaggio)
Ferruccio Rizzi (ex Ass. Ambiente e attivista Attac)
Elenco priorità concrete:
1 – Reddito universale di base* e riduzione settimana lavorativa, finanziato con lo stop alle spese
militari (tutte, comprese le ‘’missioni di pace’’)
2 – Rimozione dei contributi pubblici alle fossili (compreso biogas/biometano)
3 – Riappropriazione pubblica dei ‘’beni comuni’’ (acqua, energia, digitale, finanza, farmaceutica, ecc.)