SU AGRICOLTURA E ALLEVAMENTI - COMITATO AMIG@S MST-ITALIA




Convergenza “Per una società della cura”

Contributo del Comitato Amig@s MST-Italia


È uno degli slogan più ripetuti dai movimenti popolari, da quando il Covid-19 ha messo in ginocchio l'intero pianeta: “Non torneremo alla normalità, perché la normalità era il problema”. Quella "normalità" fatta di disuguaglianze, di sfruttamento, di guerra tra umani e di guerra agli ecosistemi noi non la vogliamo più.


Come infatti hanno segnalato innumerevoli studi, il Covid-19, come altri virus che l'hanno preceduto, è strettamente connesso a quella rottura ecologica operata dal modello capitalista a ritmi sempre più accelerati. E in particolare ai tre fenomeni descritti dalla ricercatrice del gruppo ETC Silvia Ribeiro: il sistema degli allevamenti intensivi, con conseguente inquinamento di acqua, suolo e aria (per non parlare del trattamento feroce riservato agli animali); l'aumento delle monocolture per la produzione di mangimi, con un alto impiego di pesticidi; la crescita urbana incontrollata con il suo modello alimentare dettato dalle transnazionali.

Se infatti la concentrazione di animali in sistemi chiusi offre le condizioni più favorevoli per la moltiplicazione di microrganismi patogeni, il modello alimentare dominante ha accentuato la vulnerabilità alle malattie di piante, animali ed esseri umani.

Cosa fare allora se non vogliamo tornare alla "normalità" precedente alla pandemia?


Come Comitato Amig@s MST Italia, abbiamo elaborato nei mesi precedenti un documento dal titolo “Per un mondo senza pandemia, una nuova relazione con il pianeta” in cui descriviamo ampiamente la situazione drammatica del sistema agricolo-alimentare dominante e in cui indichiamo la necessità di percorrere in maniera prioritaria tre cammini di trasformazione:


  1.  Realizzazione di una Riforma Agraria Ecologica. Il superamento del modello attualmente dominante di urbanizzazione selvaggia e in forte crescita, in direzione di un massiccio ritorno alla terra a livello globale (con il necessario corollario, soprattutto rispetto al caso italiano, di un deciso alt alla cementificazione e del raggiungimento del consumo di suolo zero). Una ridistribuzione planetaria delle terre ai piccoli agricoltori, insieme a politiche orientate a recuperare la fertilità del suolo e a sostenere i mercati locali, sarebbero infatti in grado di ridurre della metà le emissioni di gas serra nel giro di pochi decenni.


  1. Il passaggio dall'agribusiness alla sovranità alimentare, da un sistema industriale globalizzato degli alimenti – governato dalle imprese e caratterizzato da un ampio ricorso a sostanze petrolchimiche di sintesi e da lunghe catene di trasformazione e di globalizzazione degli scambi – a sistemi alimentari locali nelle mani dei piccoli agricoltori. Un passaggio obbligato, considerando che quel modello di agricoltura industriale – organizzato sotto forma di monocolture sempre più estese e caratterizzato dall’uso massiccio di veleni agricoli (e di OGM) – è alla base dell’impoverimento del suolo, della deforestazione di estese aree rurali, della contaminazione dell’acqua e dell’acidificazione degli oceani ed è responsabile dal 44 al 57% delle emissioni di gas a effetto serra. È contro questo modello che si oppone il programma della sovranità alimentare popolare, basato su una radicale trasformazione in materia di agricoltura e di alimentazione, attraverso la produzione locale per il mercato locale, quella a cosiddetto chilometro zero: una produzione agroecologica di alimenti sani – dunque senza sostanze chimiche e senza OGM – su piccola scala che permetterebbe di rigenerare i suoli, di risparmiare combustibile e di ridurre il riscaldamento globale (da cui l’ormai celebre slogan “I piccoli contadini raffreddano il pianeta”), dando lavoro a milioni di agricoltori. Una sfida che, sul versante del consumo, comporta la rinuncia alla Grande distribuzione organizzata in direzione dell'acquisto di prodotti della gastronomia regionale direttamente dai contadini o attraverso il sistema dei Gruppi di Acquisto Solidale (GAS) e delle Comunità a Supporto dell’Agricoltura (CSA). 


  1. Significativa riduzione della produzione e del consumo di cibi di origine animale, tra le principali cause della deforestazione e dell'aumento di emissioni climalteranti. Che, sul versante dei consumatori, significa, come primo passo, evitare, quanto a carni, pesci, latticini e uova, quelli che sono frutto di allevamenti intensivi e/o provengono da altre aree del mondo, soprattutto se già a rischio di disboscamento.