La proposta No TRiv si basa su altri due documenti, il Decologo e il programma dell'Associazione Laudato Sì, alla cui scrittura partecipata hanno collaborato centinaia di attori sociali, comitati, associazioni, movimenti, gruppi e persone.
La costruzione di una società ecologica non è più soltanto una necessità ma un’urgenza
Nell’ultimo secolo si è imposto e perfezionato un modello di sviluppo mirato unicamente alla crescita economica e all’accumulazione di profitto con una caratterizzazione meramente quantitativa.
Ciò che conta è far crescere il Pil il più possibile, controllare il più possibile le risorse naturali, produrre in maniera intensiva abbattendo il più possibile i costi ambientali e del lavoro, consumare il più possibile, smaltire risparmiando il più possibile.
Questo sistema ha determinato conseguenze disastrose per la vita del pianeta e delle comunità umane e ha inasprito le diseguaglianze concentrando la ricchezza in un sempre minor numero di mani.
Il mondo appare oggi diviso in due: da un lato chi si arricchisce, appropriandosi di risorse e ricchezze senza limiti; dall’altro chi paga il conto, risultando espropriato di ogni diritto.
Alle emergenze sociali prodotte si sono sommate una crisi ambientale globale pervasiva e allarmante, ed una crisi sanitaria (Covid 19) innescata ed alimentata dalla prima: esaurimento progressivo delle risorse, cambiamenti climatici, alti livelli di contaminazione delle matrici ambientali, gravi impatti sanitari sulle comunità esposte.
Tali crisi, dirette conseguenze dell’attività predatoria dell’uomo sul pianeta, sono la plateale rappresentazione del fallimento delle scelte politiche dei governi a tutti i livelli: non sono esternalità casuali, degenerazioni di un processo virtuoso, ma diretto prodotto dell’insieme delle scelte messe in campo, del quadro delle priorità inseguite, del modello di produzione e consumo scelto.
Le politiche attualmente in campo in termini di sfruttamento delle risorse naturali, di produzione, consumo e smaltimento degli scarti sono del tutto incompatibili con ogni istanza di giustizia ambientale, sociale e democratica.
Il nostro Paese si inserisce perfettamente in questo quadro e ne è attore protagonista: nonostante gli impegni assunti dai governi in sede europea e internazionale, l’intera economia italiana risulta ancora fondata su principi di insostenibilità: il modello energetico è basato in larga parte sullo sfruttamento di fonti fossili; il modello produttivo è fondato su un sistema lineare di sfruttamento dell’uomo e della natura; il modello infrastrutturale è ostinatamente ancorato alla necessità di costruire grandi opere impattanti e dalla dubbia utilità, la cui principale ratio è la distribuzione clientelare di appalti; il modello di gestione dei rifiuti è costruito sull’assunto che l’incenerimento sia parte fondante del processo; il modello sanitario è legato a una visione in virtù della quale si cura (poco e male) chi è malato senza immaginare meccanismi di prevenzione primaria; i processi decisionali risentono di una progressiva tendenza all’accentramento, spogliando le comunità locali e i cittadini di ogni possibilità di consapevole e attiva partecipazione.
Per queste, e per molte altre ragioni, la risposta alla crisi ambientale non può e non deve essere esclusivamente appannaggio della rappresentanza politica e dei soggetti economici privati ma è necessario innescare un meccanismo collettivo di ripensamento della società nella sua integralità: c’è bisogno di un’alleanza tra società civile e comunità scientifica che si ponga l’obiettivo di immaginare un paradigma alternativo di sviluppo e di dotarsi degli strumenti per realizzarlo. Abbiamo moltissime urgenze sulle quali lavorare, e altrettante proposte per farlo.
La costruzione di una società ecologica non è più soltanto una necessità ma un’urgenza.
I punti del programma
I punti enumerati di seguito identificano aree tematiche di vitale importanza per la pianificazione di politiche pubbliche improntate alla piena sostenibilità.
Individuano una serie di proposte concrete dirette ai decisori politici.
Energia
La produzione energetica in Italia è ancora primariamente concentrata sullo sfruttamento e sul consumo delle risorse fossili.
Continuano a essere incentivate le fonti fossili con Sussidi Ambientalmente Dannosi per circa 19 miliardi di euro l’anno.
Inoltre, una transizione energetica orientata al contrasto ai cambiamenti climatici, alla sicurezza di approvvigionamento e alla distribuzione di ricchezza non può ragionare soltanto della fonte energetica ma deve necessariamente investire in via prioritaria il ripensamento del modello di produzione, trasformandolo da modello centralizzato e piramidale a modello “misto”, con una forte prevalenza della generazione distribuita: una reale democrazia energetica.
Per operare un profondo ripensamento del sistema di produzione energetico è fondamentale:
- Rivedere il Pniec (Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima) pubblicato nel gennaio scorso che prevede di mantenere una quota fossile elevata nella produzione di elettricità e che punta sul metano sia a livello territoriale sia nel campo dei trasporti. La riduzione delle emissioni climalteranti deve essere un obiettivo primario perseguito anche in agricoltura e nell’allevamento, di pari passo con lo stop al consumo di suolo e con la chiusura del ciclo di vita dei prodotti (“rifiuti zero”);
- Sostenere la posizione espressa dal Parlamento Europeo che ha approvato un emendamento alla Legge sul clima, indicando per il 2030, un target di riduzione dei gas serra del 60% rispetto ai livelli del 1990, e ciò in vista di una rapida decarbonizzazione del modello energetico che anticipi la scadenza del 2050;
- Approvare una moratoria sui nuovi progetti riguardanti l'estrazione, il trasporto e lo stoccaggio di combustibili fossili.
- Abrogare il meccanismo di proroga automatica delle concessioni a estrarre gas e petrolio sia in mare sia su terra ferma
- Procedere all’eliminazione dei sussidi pubblici, diretti ed indiretti, alle fonti fossili.
- Introdurre il “reddito di cittadinanza ecologico” ed un sistema di fiscalità ambientale con la previsione di una carbon tax alla fonte a livello nazionale nella misura minima di 65 €/T. di CO2, da imporre alle compagnie che operano nel campo dei combustibili fossili, addebitando una tassa per tonnellata di CO2 emessa al pozzo minerario o al punto d’ingresso del processo attivato dal combustibile. L’ammontare del prelievo può risultare neutrale perché, una volta incassato, verrebbe ridistribuito come dividendo alla popolazione e in maggior misura agli indigenti che consumano meno: lo si potrebbe definire un reddito di cittadinanza ecologico.
- Sostenere interventi di efficientamento energetico nell’agricoltura, nell’edilizia, nei trasporti e nel settore manifatturiero, ecc., attraverso risorse pubbliche sottratte al Patto di Stabilità e un Piano Straordinario da sostenere con un Fondo ad hoc gestito, ad esempio, da una nuova Cassa Depositi e Prestiti riformata, e incisive politiche di defiscalizzazione degli invetimenti “verdi”
- Anticipare l’uscita totale dal carbone, prevista per il 2025, come fonte di produzione energetica, escludendo l'opzione della trasformazione delle attuali centrali a carbone in centrali a gas;
- Sostenere l'elaborazione di una strategia nazionale per l'idrogeno favorendone l'impiego nelle filiere in cui risulta più difficile la decarbonizzazione (siderurgia, chimica, trasporto pesante, ecc.) e scartando ogni tipo di opzione favorevole all'impiego di idrogeno prodotto da fonti fossili e di idrogeno “blu”, quest'ultimo ottenuto dal gas con la CCS, nuovo cavallo di troia delle compagnie dell'Oil&Gas;
- Abbandonare ogni progetto di cattura, trasporto e stoccaggio di CO2.
- Promuovere un modello di produzione distribuito dell’energia, attraverso l’adeguamento e la completa digitalizzazione delle reti di distribuzione dell’energia e politiche di incentivazione ai cittadini (cd prosumer), eliminando, ad esempio, il limite dei 200 kWp posto alla potenza delle “Comunità di Energia Rinnovabile-CER”.
- Sostenere la penetrazione delle rinnovabili in tutti i comparti dell'economia, contrastando i progetti che comportano ulteriore consumo di suolo e di risorse non rinnovabili in genere; mantenere pertanto il divieto di costruzioni di impianti/centrali su terreni a destinazione agricola e favorirne la diffusione in aree già “consumate” (aree industriali e commerciali, cave e discariche dismesse, ecc.).
- Ridisegnare e riconvertire la mobilità. Fare del trasporto pubblico l'architrave di un sistema di mobilità sostenibile. Per tutti i veicoli va velocizzato il passato all'elettrico e, successivamente, all'idrogeno, nel quadro di una progressiva riduzione del ricorso all'auto di proprietà individuale per sostituirlo con sistemi di trasporto collettivo, sia di massa sia personalizzato, comunque alimentato da fonti di energia rinnovabile. L'indicazione per il phase out dei veicoli a benzina e diesel non deve andare oltre il 2030; nel frattempo va abrogata ogni forma di incentivazione dell'uso del metano e del biometano per autotrazione e sostenuto lo sviluppo di sistemi meno energivori e a più bassa impronta carbonica per la produzione di batterie elettriche per il settore automotive.
Grandi Opere Imposte ed Infrastrutture
Il solo decreto Sblocca Italia varato nel 2014 ha sbloccato 14 grandi opere per un valore stimato di quasi 29 miliardi di euro, sostenendo uno schema di investimenti pubblici che favorisce la costruzione di infrastrutture impattanti e dalla dubbia utilità a scapito di interventi diffusi di risanamento del dissesto idrogeologico dilagante nel Paese.
Non è dato conoscere il dettaglio degli interventi a cui il Governo sta lavorando per finalizzare l'impiego dei 208 miliardi di euro destinati all'Italia con Next Generation EU (in Italia “curiosamente” rinominato Recovery Fund) ma, di certo, alcune anticipazioni trapelate sulla stampa (es. Proposte di Cassa Depositi e Prestiti) e quanto già accaduto con la conversione in legge del Decreto Semplificazioni non lasciano presagire nulla di diverso rispetto alle recenti esperienze dello Sblocca Italia.
Tale orientamento della spesa pubblica comporta una consistente diminuzione del welfare, cui si sommano, gli impatti ambientali e sociali prodotti dalle opere finanziate.
Ulteriore elemento di criticità riguarda il carattere impositivo insito nella definizione e implementazione delle mega infrastrutture, che depauperano sistematicamente le comunità impattate dalla possibilità di partecipare ai processi decisionali.
Cambiare il modello infrastrutturale necessita di un profondo ripensamento, che non può non partire dal:
- Ripensare le infrastrutture strategiche per il paese in un’ottica low carbon, come indicato tra gli altri dal Report della Global Commission on Economy and Climate presieduta da Nicholas Stern.
- Rinunciare alla costruzione di mega infrastrutture energetiche legate all’utilizzo delle fonti fossili.
- Rinunciare ai progetti infrastrutturali connessi alla difesa militare, a partire da quelli stranieri e legati a servitù militari, ripristinando la sovranità nazionale sul territorio.
• Riorientare gli investimenti pubblici per le mega opere impattanti in investimenti per il risanamento idrogeologico del territorio. Il dissesto interessa l’82% dei comuni italiani, circa 30.000 kmq di territorio da nord a sud del paese ed è costato in termini di danni causati da calamità naturali tra il 1944 e il 2011 più di 240 miliardi di euro di fondi pubblici, circa 3,5 miliardi di euro all’anno. (Fonte: Anci-Cresme).
Mentre in Francia il piano France Relance è stato già varato, nel nostro Paese non è stata ancora avviato in Parlamento il confronto sulle Linee Guida del nostro Piano di Ripresa e Resilienza.
E' auspicabile che in quella sede si decida di:
- destinare almeno l'80% delle risorse messe a disposizione dell'Unione Europea a piani e misure finalizzate ad accelerare la transizione energetica ed al raggiungimento della neutralità carbonica anticipando il termine del 2050;
• finalizzare l'impiego di una parte cospicua delle risorse alla sostenibilità sociale e territoriale: introduzione del reddito di cittadinanza ecologico e del salario minimo, riduzione del cuneo fiscale, inclusione delle periferie urbane, contrasto alle disparità di genere amplificate da Covid 19, rafforzamento del Terzo Settore, ecc..
Ambiente e Diritto alla Salute
L’emergenza sanitaria legata alla contaminazione ambientale in Italia, su cui si è innestata quella determinata dalla pandemia del Cvovid 19, è grave, conclamata e capillarmente diffusa.
Tale situazione di grave violazione del diritto umano alla salute, costituzionalmente garantito, è stato indagato nel rapporto epidemiologico S.E.N.T.I.E.R.I. realizzato dall’ISS in 44 delle aree vaste contaminate identificate come SIN (Siti di Interesse Strategico Nazionale per le bonifiche) dal Ministero dell’Ambiente.
I risultati del rapporto mostrano le gravi conseguenze in termini di incidenza di malattie, ricoveri e morti premature sulle popolazioni insediate.
L’emergenza tuttavia va ben oltre i perimetri dei SIN ed è elevata in ogni zona che ospita impianti contaminanti, centrali energetiche, poli estrattivi, produttivi, di smaltimento, ecc..
Alla mancanza di politiche di prevenzione primaria si somma l’insufficienza del sistema sanitario nel garantire accesso alle cure e standard comparabili nelle varie regioni italiane.
Per garantire il diritto alla salute è dunque prioritario:
- Garantire il pieno e integrale rispetto del principio di precauzione e dunque di politiche di prevenzione primaria attraverso la chiusura e la conversione in senso ecologico degli impianti gravemente contaminanti.
- Garantire programmi di prevenzione e di screening (monitoraggio sanitario e prevenzione secondaria) nei territori ritenuti a rischio o già contaminati.
- Garantire programmi di ricerca e analisi che aiutino a individuare e prevenire le ricadute sanitarie della contaminazione.
- Implementare lo strumento della V.I.S. – Valutazione di Impatto Sanitario obbligatoria per tutti i progetti di sviluppo, infrastrutturale, industriale, energetico, ecc.
- Provvedere a rapidi ed efficaci processi di bonifica dei territori attraverso il coinvolgimento attivo delle popolazioni.
- Garantire massima applicazione al principio “chi inquina paga”, assicurandosi che siano le stesse aziende responsabili della contaminazione a finanziare le bonifiche dei territori inquinati.
- Riformare radicalmente il sistema dei monitoraggi ambientali e sanitari, sottraendo le figure apicali degli enti di controllo a procedure di nomina politica e caratterizzandone le attività per trasparenza, indipendenza, efficacia e continuità. Le risultanze di tali rilievi devono essere recepiti senza esitazione nella formulazione di politiche a tutela della salute pubblica.
- Adeguare i livelli essenziali di prestazioni in ambito sanitario alle necessità dei territori cui essi sono applicati, estendendo la gamma degli interventi di prevenzione, monitoraggio e cura delle patologie connesse all’esposizione ambientale.
Comunità e Democrazia
Elemento dirimente per garantire una corretta e sostenibile gestione dei territori, la salubrità dell’ambiente e la tutela della comunità insediate è l’esistenza di strumenti di partecipazione popolare e di inclusione della cittadinanza nei processi decisionali.
Da questo punto di vista, all’insufficienza degli strumenti esistenti si unisce la tendenza a un progressivo accentramento dei processi decisionali e di depotenziamento degli enti di prossimità, erodendo la possibilità di garantire alle comunità reale incidenza nelle scelte che riguardano il proprio destino.
Ciò riduce pericolosamente lo spazio democratico favorendo un modello di delega incapace di rispondere alle istanze partecipative.
Accanto a ciò, la prassi di governo continua a individuare nel ricorso a stato d’emergenza e a decretazione d’urgenza ulteriori strumenti per imporre dall’alto decisioni spesso invise alla cittadinanza.
Per colmare il gap democratico e rispondere alla richiesta di partecipazione cittadina è necessario:
- Provvedere a fornire informazioni adeguate e complete riguardo nuovi progetti di sviluppo, infrastrutturale, industriale, energetico, etc. con impatti potenziali sul territorio.
- Garantire in generale pieno accesso alle informazioni in campo ambientale, precondizione per esercitare a pieno le facoltà e i diritti connessi alla cittadinanza.
- Istituire e implementare strumenti partecipativi, soprattutto a livello locale, in merito alle politiche ambientali, garantendo la capillare partecipazione della cittadinanza e degli stakeholders sociali attraverso la previsione di strumenti deliberativi e non meramente consultivi. Assicurare, quindi, l'applicazione della disciplina sul Dibattito Pubblico anche alle grandi opere infrastrutturali, energetiche comprese;
- Garantire l'accesso alla giustizia per l’opposizione a progetti invisi, per la riparazione del danno prodotto e per il perseguimento delle responsabilità penali, ove presenti.
- Abrogare le norme riguardanti V.IA. e Vas approvate di recente con la legge Legge n. 120 dell’11 settembre 2020 (conversione in legge del Decreto Semplificazioni), che ne hanno determinato lo svilimento ed indebolito la funzione di garanzia di tutela ambientale e protezione delle comunità insediate.
- Rafforzare anziché depotenziare, come è stato fatto col il Decreto Semplificazioni, il ruolo degli enti di prossimità nei processi decisionali.
- Reintrodurre l'obbligatorietà dell'Intesa “forte” Stato-Regioni per il caso di autorizzazioni di progetti sull'energia; quindi, abrogazione della norma di cui al decreto legislativo 127 del 30 giugno 2016 (Norme per il riordino della disciplina in materia di conferenza di servizi) che ha abolito l'obbligo dell'Intesa “forte”;
- Rafforzare le fattispecie di ecoreati introdotte nel codice penale per garantire una piena applicazione del principio “Chi Inquina Paga”.
Nuovi diritti e riforma della Costituzione
Il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha manifestato la volontà dell'Esecutivo di porre mano alla modifica degli articoli 9 e del Titolo V -e non solo- della Costituzione.
Per evitare che il dibattito che ne scaturirà possa risentire dei differenti posizionamenti filo governativi o, al contrario, antigovernativi, e che su un serio e rigoroso confronto sul merito delle questioni possa prevalere nell'opinione pubblica un orientamento sviluppista, decisionista e leaderista, è necessario riformare la Costituzione per dare cittadinanza ai “nuovi diritti” e respingere ogni velleità di accentramento dei poteri; in particolare:
- Rafforzare il coordinamento tra lo Stato e le Regioni nelle materie oggetto di potestà legislativa concorrente, assicurando eguali diritti ed eguali opportunità su tutto il territorio della Repubblica e negando in radice qualsiasi ipotesi di autonomia regionale differenziata;
- Sul modello di altre costituzioni europee, inserire in Costituzione il principio di precauzione (art. 5 della Carta dell'Ambiente francese e del “Chi inquina paga” (art 74 Costituzione della Confederazione Elvetica, art 45 della Costituzione della Spagna, art 33 della bozza della nuova Costituzione della Repubblica d'Islanda ed art 4 della Carta dell'Ambiente francese);
• Affermare in Costituzione il diritto delle generazioni future a non veder compromessa la capacità di soddisfare i loro bisogni (art. 20 della Costituzione della Repubblica Federale Tedesca e Carta dell'Ambiente della Repubblica Francese); il diritto dei cittadini di avere accesso alle informazioni relative all’ambiente detenute dalle autorità pubbliche e di partecipare all’elaborazione di decisioni pubbliche avendo un’influenza sull’ambiente (art. 7 della Carta dell'Ambiente della Repubblica Francese); il principio che la politica fiscale renda lo sviluppo compatibile con la tutela dell'ambiente e la qualità della vita (art. 66 della Costituzione del Portogallo); infine, il divieto di ricorrere all'indebitamento ecologico e adozione del “bilancio verde” per valutare l'impatto ambientale del Bilancio dello Stato, con obbligo di contenerlo in limiti ancor più stretti e severi rispetto a quelli stabiliti dagli Accordi di Parigi (spunto: Piano francese di Ripresa e Resilienza, France Relance).