IL CONTRIBUTO DI PRIORITA' ALLA SCUOLA

Contributo sulla Scuola per Il Manifesto per una società della cura 

Priorita’ alla Scuola (Renata Puleo, NiNaNd@ - Pas Roma- Cattive Ragazze)



Partendo dalla necessità di una riflessione per capire la collocazione del Sistema Scolastico, fra la nozione di servizio e quella di cura (cura come to care, cura delle creature piccole e della conoscenza come fattore umano inalienabile) offriamo due modelli. 

Il primo riguarda le tre forme di economia: quella materiale (le utenze: acqua, luce, gas, trasporti, connessioni, ecc, ovvero quel che consente la fruizione, da ricollocare saldamente in mano pubblica); quella provvidenziale (collegata alla prima: il sistema di welfare a cura dello Stato, da ripensare totalmente); quella trascurata (bisogni e desideri anche non primari, il superfluo culturalmente inteso che permette non solo di sopravvivere ma di svolgere una vita degna)

Il secondo riguarda i quattro sotto-sistemi per analizzare i sistemi di istruzione (paesi Eu e aderenti piani educativi OCSE): la totalità del sistema scolastico nelle politiche dello Stato, la singola istituzione scolastica (caratteristiche legate alla specificità della sua missione istituzionale), l’ambiente didattico, classe, laboratorio (reale e virtuale) e Il soggetto in apprendimento formale, intenzionale, istituzionale

 L’ insieme dei servizi consente di veicolare l’accesso al contenuto pedagogico, didattico, culturale, creando un collegamento fra elementi strutturali e contenuti culturali e, nel contempo, necessità di considerarli separatamente.

Accettata questa divisione fra la scuola-servizio e la scuola-sede di educazione e di formazione, se ne capisce meglio la crisi storica e quella attuale (disinvestimenti, privatizzazione endogena ed esogena, digitalizzazione come presunta opportunità, il succedersi di varie riforme soprattutto volte a depotenziare i finanziamenti strutturali e la ricerca pedagogico-didattica).  In virtù di questa distinzione si comprende la complessità delle richieste e degli approcci, per cui chiedere semplicemente più investimenti significa dare valore alla scuola come bene comune solo nella sua parte di servizio non a quella valoriale che la colloca fra le funzioni costituzionali, di cui è un presidio. La scuola non come luogo ma come spazio.

La scuola come presidio democratico merita un posto centrale nella costruzione di una società fondata sul paradigma della cura, intesa sia come cura di sé, dell’altr*, dell’ambiente, del vivente, della casa comune e delle generazioni che verranno. Questa rivoluzione, questa trasformazione della società non può che partire dalla Scuola riaffermandone la centralità per una società che vuole costruire un presente e un futuro migliore. E che sappia reagire a quanto abbiamo vissuto e stiamo vivendo negli ultimi mesi. La scuola non è un settore isolato della società, ma è parte integrante del suo metabolismo. Il suo raggio di estensione è potenzialmente infinito perché arriva ben oltre le persone che fisicamente devono recarsi nei suoi edifici quotidianamente o periodicamente.

L’ attuale crisi pandemica anche nella Scuola ha squarciato il velo di maya, portando alla luce le distorsioni che negli ultimi decenni hanno trasformato e in buona parte svilito la Scuola pubblica Laica. Oltre ad essere già in crisi per l’assenza strutturale di organico e la mancanza di fondi per la ristrutturazione degli edifici, la scuola era problematica di per sé. A partire dalla mancanza di una riflessione profonda sui mutamenti della composizione scolastica.

In un’ottica di democrazia di prossimità e di centralità dei territori la Scuola non deve essere considerata un mondo a sé stante. Le comunità devono prendersi cura della Scuola costruendo con la pratica quotidiana, ma anche con la riappropriazione e la lotta politica – la scuola che tutt* vogliamo, che si  si interroga sui desideri di studenti e studentesse e rinforza le loro passioni, privilegiando la collaborazione e non la competizione tra loro. 

La Scuola in una società della cura rifiuta le forme di ingiustizia sia al suo interno, che nel resto della società, fa parte del mondo di cui ci si preoccupa e ci si prende cura, anche e soprattutto per cambiarlo in meglio. Una scuola come luogo di libera espressione, ma che è anche capace di mettere paletti molto chiari contro ogni forma di sopraffazione. La scuola a cui pensiamo è una rivoluzione che deve essere costruita fra tanti e tante. Al centro della nostra attenzione devono esserci le persone e il mondo che abitiamo tematiche oramai travolte dalla burocratizzazione in cui annaspano le nostre relazioni. Se perdiamo questo orizzonte, finiremo per rinchiuderci in cavilli sempre più isolati, poveri e sacrificabili. La scuola è un diritto e se salta quello salta anche tutto il resto. Ma è anche per prenderci tutto il resto che lottiamo per la scuola.

Da questa visione scaturiscono delle richieste che devono essere accolte affinché possa realizzarsi la reale trasformazione della società attraverso la scuola. 

Nell’ottica di una scuola come soggetto costituzionale la prima rivendicazione possibile è la richiesta non solo di maggiori investimenti, chiediamo almeno il 6% del PIL, che però devono essere orientati da una logica diversa da quella del profitto, perché la perché la scuola, e la conoscenza da essa promossa, rientrano nella riproduzione della vita e nella economia trascurata. Gli investimenti richiesti devono andare in direzione contraria a quella sino ad oggi perseguita, vale a dire quella evidente tensione alla privatizzazione della conoscenza e al suo orientamento interessato, volto a sostenere con la formazione delle creature piccole il modello attuale di sviluppo capitalista.

Rispetto al tema scuola, welfare e scelte economiche neoliberiste, importantissimo il problema della Prima Infanzia e del trattamento subito da questa età della vita (malgrado la riforma del 1968 e i Nuovi Orientamenti del 1969 come programma/progetto di scuola e non di asilo), prima dell’emergenza e pesantemente ora. Molte aziende hanno incluso la SdI all’interno dei contratti di lavoro come servizio alle lavoratrici, già nel recente passato sotto forma di bonus e asili aziendali, come sostegno alle donne, considerate sempre il soggetto debole da tutelare perché possano garantire la cura dei bambin*.  Anche lo smart work e il telelavoro sono visti in quest’ottica patriarcale. In questi mesi di emergenza poco si è parlato del disagio della Prima Infanzia e dei carichi famigliari poggiati sulle spalle delle donne multitasking. In questa direzione de-patriarcalizzare come maniera per de-capitalizzare.

La trasformazione in senso radicale della Scuola passa per una serie di riforme e di trasformazioni quali l’aumento dell’organico del corpo docente e l’eliminazione del precariato nel mondo della scuola, per una trasformazione degli edifici scolastici in direzione del principio di sostenibilità ambientale e di fruibilità sociale, l’abolizione dell’autonomia differenziata e del diritto allo studio su base regionale, il superamento dell’autonomia scolastica e la conseguente ripresa degli organi collegiali in senso democratico, la ridefinizione dei programmi e delle risorse nei territori dove è più elevato il rischio di dispersione scolastica immaginando nuovi modi di fare scuola. 

Importante in questo nuovo modo di pensare la Scuola diventa l’innovazione didattica, che non si lega al profitto o alla performance lavorativa, ma si pone come obiettivo la formazione dei cittadini garantendo a tutti il diritto alla Studio, soprattutto attraverso un ripensamento dei cicli di studio con particolare riferimento alla scuola media e agli Istituti professionali. 

In merito alle insidie da cui difendersi ci preoccupa la digitalizzazione della scuola sotto diversi profili: quello della cd competenza digitale che non distingue tra fini e strumenti e. quello delle piattaforme attraverso cui la didattica digitale viene proposta. Le connessioni, gli strumenti informatici, digitali, la tecnica, la tecnologia legata alla ricerca sulla intelligenza artificiale, ecc., sono serventi, ovvero consentono la fruizione di diritti, non lo sono in sé. Ne consegue che senza il controllo pubblico su tali strumenti, sugli scopi della ricerca, sui giganti dell’informatica e del web (entrati pesantemente nella scuola oggi, con piattaforme e cosiddetti prodotti didattici digitale), si rischia di lasciare al privato l’ultima parola sui processi in corso. Inoltre un altro aspetto preoccupa molto: quello relativo alla profilazione dei dati da parte dei big data che stanno trasformando studenti in utenti e, come dimostra la condanna della Francia a Google, ancor peggio in prodotti.