SULLA DISCUSSIONE PER IL "RECOVERY PLANET" - PAOLO CACCIARI



 Considerazioni aggiuntive alla Nota di Marco Bersani 

per una discussione sul Piano Nazionale di Ripresa e resilienza.


La nuova Commissione europea (a guida Ursula von der Leyen) si è caratterizzata per aver varato due nuove strategie: European Green Deal e, dopo la pandemia, la Next Generation Eu. Il programma Recovery and Resilience Facility, discende da queste.

Non cambiano i Trattati, non cambiano le impostazioni fondamentali dell’Europa delle Banche, delle lobbies e delle tecno-burocrazie, ma è giusto e utile prendere sul serio alcuni evidenti cambiamenti di direzione.


Per la prima volta (seppure motivato come “misura eccezionale”) viene varato un piano di investimenti pubblici a scala pan-europea con dei meccanismi di solidarietà. (La ripartizione è stabilita con criteri che tengono conto della disoccupazione e della perdita del Pil). E’ vero che i denari preventivati non saranno certo sufficienti a far fronte agli effetti della crisi sanitaria ed economica dovuta al Covid-19, così come è vero che i rimborsi dei prestiti contratti dalla BCE sul mercato  dei capitali (debiti) e la copertura dei sussidi (tramite i contributi ordinari degli Stati membri) peseranno in un modo o nell’altro, nel medio e nel lungo periodo, sugli Stati beneficiari. Ma è vero che la teoria economica neoliberista è stata messa per una volta da parte a favore di una impostazione di tipo espansiva. Il debito pubblico, per ora, non sembra essere più un tabù.

Per la prima volta si ipotizza la creazione di un sistema fiscale sovranazionale di “tasse europee” sulle emissioni dei gas climalteranti (Sistema di scambio delle quote), sul digitale e sulle grandi imprese. Tasse che dovrebbero finanziare (in una parte non ancora definita) il RRF. Poca cosa, certo, ma può essere l’apertura di un varco verso il grande obbiettivo di  una armonizzazione delle politiche fiscali.

Nel merito, va dato atto che la Commissione Eu considera che: “E’ illusorio pensare di poter conseguire una crescita economica al di fuori di un modello di sviluppo sostenibile e senza affrontare le diseguaglianze di genere, generazionali e territoriali”. Serve quindi “una ripresa equa e inclusiva” e una “transizione verso l’economia pulita”. Dopo decenni di false promesse sullo “sviluppo sostenibile” è possibile che si tratti solo di fumo negli occhi, ma va ricordato che il RRF prevede che le spese dovranno essere coerenti con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi (neutralità climatica entro il 2050) e che comunque almeno il 38% della spesa do ogni singolo PNRR dovrà riguardare questo obiettivo. In questi casi le “condizionalità” e le raccomandazioni poste dalla Eu (vedi Linee guida e Progetti faro) sono del tutto opportune. Il NGEU già classifica quali sono le attività “green”, secondo una tassonomia (Regolamento del Luglio 2020): mitigazione e adattamento climatici, uso sostenibile delle acqua, economia circolare, riduzione dell’inquinamento, protezione della biodiversità. In più si dovrà applicare il principio Do Non Harm (nessun danno all’ambiente).


Non si tratta certo di una riforma strutturale della UE, ma il mutamento di tendenza va colto e rilanciato nei riguardi dell’Europa (che deve “ricostituzionalizzarsi” su basi totalmente diverse da quelle dei Trattati di Nizza e di Maastricht), sia del Governo, del Parlamento, delle Regioni e quant’altri si accingono a formulare il PNRR italiano che devono essere quantomeno coerenti con l’impostazione dell’European Green Deal e del Recovery and Resilinece Facility.


I denari aggiuntivi e a “poco prezzo” (non avvelenati da tassi di restituzione del debito)  cui l’Italia potrà accedere saranno comunque superiori a quanto abbia mai avuto a disposizione. Si apre quindi una battaglia su come finalizzarli, per fare cosa.

La proposta del Governo si presenta come una “macedonia di interventi” (la definizione è di Fabrizio Barca), una lista della spesa, priva di visione, senza un’idea di società e nemmeno del posizionamento dell’Italia nel quadro internazionale (multipolare) scosso dalla catastrofe pandemica, ecologica e dalla crisi della globalizzazione (ipertrofia finanziaria, rilocalizzazione industriale, crisi del turismo, ecc.). Questo dovrebbe essere il primo terreno di scontro politico e di iniziativa sociale. Il prossimo G20, che si svolgerà proprio in Italia, dovrà chiarire in che mondo vogliamo vivere.

Il secondo livello di confronto è sugli strumenti di gestione del piano. Una questione di efficienza (riforma degli apparati pubblici ad ogni livello) e di democrazia (le istituzioni scientifiche e tecniche dello stato, a partire dalle Università, sono state date in appalto).  Ricordiamoci che il sistema pubblico italiano non sa spendere. Tra il 2014 e il 2020 l’Italia ha speso solo 28 dei 72 mld messi a disposizione della Ue. 

Il terzo livello di confronto tra le forze sociali e il governo (i governi) riguarda il merito dei provvedimenti intesi assieme come interventi di spesa e relativo quadro normativo. Giusto, infatti, collegare  investimenti e procedure (progettazioni, appalti, controlli ecc.). Ad esempio: più risorse per il sistema idrico integrato devono sposarsi con la pubblicizzazione dei servizi.



(nota di Paolo Cacciari 25 gennaio 2021)