SEMINARIO INTERNAZIONALE
"CURA E INCURIA. IL MONDO ALLA PROVA DELLA PANDEMIA E OLTRE...
PENSIERI E PRATICHE FEMMINISTE"
REPORT - 8 novembre 2021
Sabato 23 e domenica 24 ottobre 2021, dalle 14.00 alle 17.30 si è tenuto il seminario femminista internazionale “Cura e incuria. Il mondo alla prova della pandemia e oltre… Pensieri e pratiche femministe”, organizzato da FemmSdc, gruppo femminista attivo nella "Società della Cura", con la collaborazione di Global Dialogue for Systemic Alternatives e Transform!Europe.
Il seminario si è articolato in due sessioni, dopo l'introduzione generale a due voci (Italia e Afghanistan)
Si è tenuto da remoto e in presenza in tre città: al Centro di studi e ricerca delle donne dell’ Associazione Orlando di Bologna, alla Casa delle donne di Lecce e alla Casa Internazionale delle donne di Roma. È stato tradotto in diverse lingue: spagnolo, portoghese, francese ed inglese da Humana Comunicacao & Traducao, che ha anche gestito la piattaforma zoom.
Le presenze italiane sono state circa 400 dal vivo o in zoom, oltre 1300 le visualizzazioni sulla pagina di FB di Società della Cura che trasmetteva in diretta. Global Dialogue (streaming in inglese e francese). Sulla pagina FB di CEAAL (Messico, in spagnolo): nei due giorni ca. 900 visualizzazioni; altre pagine estere trasmettevano anche in portoghese e francese in diversi paesi del mondo.
32 Interventi, da 21 paesi: Afghanistan, Algeria, Brasile, Germania, Grecia, India, Iraq, Italia, Kurdistan, Libano, Messico, Palestina, Polonia, Russia, Rwanda, Spagna, Stati Uniti, Sud Africa, Tunisia, Turchia, Ungheria.
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Introduzione a due voci - Che genere di mondo? donne contro la guerra, la violenza, l’ipocrisia della politica. Per accogliere chi è costretta a fuggire, per sostenere chi lotta per i diritti nel proprio paese
1. Alessandra Mecozzi (gruppo Femm SdC - Italia) Presiede Ass. Cultura è Libertà (Palestina), Rete In difesa di (difensori/e di diritti umani). Sindacalista nella Fiom-Cgil dal 1971 al 2013 e resp. Internazionale dal 1996. Dal 2001 attiva nei Forum sociali mondiali ed europeo.
Le ragioni del seminario: riprendere e rafforzare i legami internazionali, combattere l'isolamento e la sofferenza provocati dalla pandemia. Uno spazio da cui lanciare messaggi ai prossimi vertici del G20 e della COP26.
Affrontati vari temi per una riflessione su "che genere di mondo". Inizia con parole contro la guerra patriarcale e distruttiva, e annuncia la testimonianza di Zarlesht Berek (Afghanistan) come seconda parte dell'introduzione. Denuncia il fallimento del disegno coloniale di esportare diritti e democrazia, mostrato dall'Afghanistan e dalla fuga degli Stati Uniti dopo 20 anni di occupazione. La pandemia: si è dimostrato come non sia un’emergenza improvvisa né un evento accidentale, ma prodotto dell'incuria umana verso le persone, caratteristica del capitalismo e delle politiche liberiste, con le privatizzazioni e i tagli alla spesa sociale, nella sanità come nell'istruzione, incuria verso la natura e gli esseri viventi, con l'abbattimento della biodiversità e scelte estrattiviste. Sulle donne ha avuto gli effetti più gravi: aumento della violenza domestica e contro chi difende le proprie comunità; calo dell'occupazione e aumento del peso del lavoro (es. smartworking); aumento di malattie legate al cambiamento climatico e agli sfollamenti forzati.
Denuncia di un sistema che condanna chi salva le vite in mare e chi accoglie migranti. Ne sono sono parte le rotte migratorie, la tratta degli esseri umani, prevalentemente donne e bambini, le leggi ingiuste sull'immigrazione, i meccanismi che criminalizzano la povertà.
Le donne sono maggiormente vulnerabili dai cambiamenti climatici, ma spesso si dimostrano le più capaci di proporre soluzioni: piantando alberi o riciclando rifiuti, e con molte misure per consumi diversi .
Non è più possibile programmare la produzione senza farsi carico della riproduzione delle persone, dell’ambiente e del mondo. Questa “crisi della cura e della riproduzione sociale”,ha evidenziato la fragilità di una organizzazione sociale che lascia le donne, le loro intelligenze, le loro risorse fuori dai suoi luoghi decisionali.
Infine è stato trattato il tema della sicurezza, che la pandemia ha mostrato essere, per l'umanità, accesso all'assistenza sanitaria, all'approvvigionamento alimentare, all'istruzione, a redditi dignitosi. Non è creata dalla militarizzazione, né da politiche sbagliate e dannose che incentivano gli investimenti nella “sicurezza militarizzata” a scapito della salute collettiva.
I dati dello Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI) mostrano che nel 2020 rispetto all'anno precedente c'è stato un aumento del 2,6% delle spese militari globali aumento in un anno in cui il prodotto interno lordo (PIL) globale è diminuito del 4,4% (FMI), in gran parte a causa degli impatti economici della pandemia. Anche questo è un terreno di lotta ineludibile.
La conclusione è che NON C'È CURA SENZA CONFLITTO, se vogliamo cambiare un sistema patriarcale di potere sociale, economico, politico e culturale basato sulla disuguaglianza, pervaso di violenza spesso impunita: dalla discriminazione all'omofobia, allo stupro e al femminicidio, La rivoluzione della cura si basa sul rispetto dell'altra e dell'altro, sul riconoscimento di tutte le soggettività, sui diritti e le libertà di tutte e di tutti, native/i e migranti, a partire dal diritto alla cittadinanza.
2. Zarlasht Barek - (Afghanistan) Laurea all'Università di Kabul e Master all'Univeristà di Pavia. Lavoro con Organizzazioni umanitarie internazionali per diritti umani dei rifugiati e il ritorno volontario nel loro paese e con Amb. Italiana su progetti relativi ad emancipazione delle donne e sviluppo economico. Adesso in Italia -
La guerra (Russia-Afghanistan 1979-1989) durava da 10 anni quando mia madre Qamar Safi mi diede alla luce, mentre i Mujahedeen cercavano di abbattere l'elicottero russo.
Nata in guerra, rifugiata in un paese straniero, piangendo e cercando di comprendere la mia vita da bambina in guerra, cercavo di dare un senso al mondo come rifugiata senza documenti tra il 1996 e il 2001, quando i talebani hanno governato il mio paese, vincendo la guerra e le donne hanno perso tutti i loro poteri e diritti, pubblicamente uccise, lapidate
Quando gli Stati Uniti hanno fatto crollare i talebani alla fine del 2001, è stato un nuovo inizio, tempo di tornare di nuovo in patria, l'Afghanistan. C'era ottimismo Avevo 19 anni quando durante la festa di Eid, con gioia e di curiosità stavo andando all'università, ho sentito una forte esplosione, visto i corpi a pezzi, per l'attacco al bus degli ufficiali dell'esercito.
Poi c'è stata la moto-bomba del 31 maggio 2017 più di 300 feriti e 150 morti.
Ho perso tutto con la guerra, due volte in 30 anni, devo ricominciare daccapo. Eppure, sono fortunata, tra 15 milioni di donne afghane, perché ho la possibilità di parlare
Nel 2021, è stato deciso di uscire di casa alle 2 del mattino, e prima cancellare tutte le comunicazioni con lo straniero e tutti i dati. Diretti verso l'aeroporto. dovendo prendermi cura di mia sorella incinta di 9 mesi, che dormiva sul marciapiede dell'aeroporto con gli occhi pieni di delusione per il fallimento della vita e della libertà.
Nasci come donna in guerra, cresci come bambina in guerra e sopravvivi come giovane donna in guerra! Che dire di quegli oltre 15 milioni di donne afghane come me? ora proprietà dei talebani? Che dire delle loro storie della loro esistenza? La guerra è il loro unico destino?
PRIMA SESSIONE
Come ci ha trovato la pandemia? La crisi sindemica e le politiche degli Stati: l’ incuria neoliberista, le privatizzazioni e i tagli sociali quanto hanno influito sugli effetti della crisi
Introduzione di Nicoletta Pirotta (gruppo Femm SdC - Italia) - Presidente di IFE Italia; in FAE (Feminists for another Europe). Attivista sociale e politica. Tra le fondatrici dell'Assemblea Permanente delle Donne della funzione Pubblica CGIL di Como e della Marcia Mondiale delle Donne.
Moderatrici (Italia):
Nicoletta Pirotta e Nora Haydee Rodriguez - di origine argentina, attivista nell' educazione di giovani e per i diritti umani, in particolare per bambine ragazze e migranti, con Arci. Antimilitarista, portavoce del Movimento Dal Molin.
Nella prima sessione del seminario ci siamo confrontate sull'incuria neoliberista, patriarcale e razzista che, su piani differenti, ha prodotto, prima dell'insorgere del virus, individualismo, violenza, tagli ai sistemi pubblici di welfare, precarizzazione del lavoro e della vita.
Abbiamo cercato di evidenziare alcuni aspetti: se e quanto le reazioni dei singoli Stati e dell'UE siano state adeguate a contrastare la drammatica situazione determinata dalla diffusione del virus oppure se queste reazioni siano servite a mantenere le politiche liberiste che hanno condotto alla pandemia senza rimetterle per nulla in discussione. Alcune delle relatrici europee hanno denunciato, in particolare, il vergognoso inchinarsi della Commissione Europea ai potentati farmaceutici consentendo loro di tenersi stretta la proprietà privata sui brevetti dei vaccini a scapito della salute delle persone.
Il confronto ha confermato inoltre un altro, importante aspetto: la pandemia ha rivelato la fragilità dei nostri corpi e l'interdipendenza fra l'umano, il vivente non umano e l'ambiente. Le relatrici hanno sottolineato, pur con accenti differenti, la lezione che la pandemia ci ha impartito. Una lezione che può essere sintetizzata in alcuni punti: nessuna/o si salva da sola/o, è il prendersi cura e non il competere che promuove la vita, sono i servizi sanitari e sociali pubblici che garantiscono risposte adeguate e non il privato,i lavori di riproduzione sociale e domestica si sono rivelate essenziali molto più che quelli legati alla produzione a riprova dell'anacronistica gerarchia fra di esse che inferiorizza i primi a vantaggio dei secondi.
Due i livelli sui quali vi è stata omogeneità dei contenuti analitici:
-sul piano della materialità la pandemia ha peggiorato la vita delle donne già resa precaria dalle politiche neo-liberiste degli anni precedenti. In India così come in Algeria e in Russia, in Turchia o in Italia le donne sono state le prime ad essere licenziate perdendo quell'autonomia economica faticosamente conquistata, nei periodi di confinamento hanno dovuto far fronte all'aumento dei lavori domestici e all'accudimento delle e dei bambini o delle persone anziane con gravi ricadute sul piano della salute fisica e psicologica. Molte sono uscite del mercato del lavoro per prendersi cura di figli e malati con un rientro che sarà quasi impossibile, dovendo accettare il ripiego nel lavoro nero, non registrato e sottopagato. Proprio per questo la relatrice ungherese ha sottolineato l'importanza della campagna europea per il salario minimo che per le donne sarebbe un utile strumento per l'autodeterminazione.
Sempre sul piano della salute alcune relatrici hanno sottolineato come nei periodi di confinamento sia stato ancora più difficile, se non impossibile poter abortire con effetti negativi sulla vita delle donne che non volevano portare a termine gravidanze indesiderate. La chiusura delle scuole ha determinato un ulteriore elemento di disagio, in particolare per le famiglie più povere che non possedevano pc o tablet ed anche in questo caso sono state le donne a dover far fronte a questi disagi;
-le violenze contro le donne sono aumentate esponenzialmente in ogni Paese, dall'Algeria alla Russia, dalla Turchia all'Italia, dalla Tunisia all'India agli Stai Uniti. In particolare le violenze domestiche ma anche quelle contro le persone lgbqt ed anche su base razzista. Violenze che hanno avuto effetti perniciosi come per esempio in Turchia l'aumento di gravidanze indesiderate. Purtroppo la mancanza di case rifugio o di centri anti-violenza per donne maltrattate o violentate ha reso ancor più complicata la situazione. Al contrario la presenza di associazioni e reti femministe in tutti i Paesi (a riprova della dimensione internazionale dei movimenti femminista come ha ricordato Azhgihina dalla Russia) ha consentito di offrire un supporto alle donne che hanno subito violenze. In India la campagna "non mettiamo la mascherina alle violenze" è stata utile per porre in evidenza il problema. In America Latina è aumentato il numero dei femmicidi e anche gli assassini di donne e di bambine come strumento di repressione politica (Mariella Franco, Berta Caceres, ed altre) ;
- il richiamo alla pace (No care No peace) e alla fine delle politiche di riarmo, il rifiuto della guerra come risoluzione dei conflitti, e la consapevolezza che militarismo, patriarcato e capitalismo sono causa delle crisi economiche, ambientali e sociali che colpiscono in primis le donne, e non la soluzione. Anche la chiusura delle frontiere, si è ribadito, non favorisce la costruzione della pace.
Si sono poi sottolineati alcuni aspetti specifici.
Alcuni negativi:
- la drammatica situazione di Gaza e il vergognoso silenzio della stampa mainstream sulla condizione delle e dei palestinesi che indica quanto sia pericolosamente a rischio la libertà di parola e quindi la democrazia;
-la proprietà privata sui brevetti dei vaccini che consente alle imprese produttrici di fare profitti colossali sulla nostra pelle ed impedisce una diffusione equa dei vaccini. Come denunciato dalla campagna "no profit on pandemics" l'ineguale diffusione dei vaccini fa si che il contagio non si arresti e consente la mutazione e la variabilità del virus con grave danno per la salute delle persone. Alcuni Stati del sud del mondo (India e Sud Africa in primis) e gran parte della comunità scientifica insieme all'Organizzazione mondiale della sanità hanno denunciato questa situazione chiedendo una moratoria sui brevetti ma l'Occidente ricco ha fatto orecchie da mercante;
-i periodi di confinamento e l'oggettiva perdita del contatto vero tra attiviste, sostituito con quello da remoto che però non ha klo stesso impatto, ha fatto perdere forza ad alcuni movimenti in America Latina come Ni Una Menos, che devono ora riprendere visibilità con la mobilitazione nelle strade.
Altri positivi:
-nel dimostrare la vulnerabilità dei nostri corpi e la loro interdipendenza la pandemia ha anche reso evidente quanto sia il paradigma della cura e non quello del profitto a difendere e salvare la vita;
-non c'è cura senza conflitto, hanno ricordato alcuni interventi, perchè i sistemi di potere che ci governano non hanno alcuna intenzione di cambiare strada;
-il seminario dimostra che le donne in ogni parte del mondo non abbassano la testa e si attivano e che, proprio per questo, occorre mantenersi in rete promuovendo percorsi di convergenza capaci di intrecciare pensieri, pratiche e mobilitazioni;
-come ricordato da alcuni interventi durante la pandemia si sono consolidate o sono nate molte esperienze di solidarietà e di mutualismo nelle quali le donne sono presenti in modo consistente. Esperienze capaci di indicare nuovi modelli di relazioni sociali e di risposta ai bisogni.
Nella parte destinata al dibattito è intervenuta Monica di Sisto, una delle facilitatrici del percorso di convergenza della Società della cura . Contesto nel quale è nata l'esperienza femminista che ha dato vita al seminario.
Dopo aver condiviso l'emozione provata nell'aver colto quanto siano omogenea ,in ogni parte del mondo, la lettura della realtà delle donne intervenute, Di Sisto ha auspicato che possa costruirsi una massa critica femminista ed internazionale capace di mettere in discussione l'insopportabile machismo che segna l'economia, la politica, la cultura. Un machismo la cui agenda si basa sulla potenza e non sulla capacità di rispondere ai bisogni delle persone.
Lo si è visto anche negli incontri del G20, che si sono tenuti in Italia e si concluderanno a Roma il 30 ottobre pv. Un G20 che ha mostrato la sua pochezza nell'indicare soluzioni per le due fra le più grosse questioni all'ordine del giorno: la salute e l'eguaglianza di genere. Per nessuna delle due sono venute proposte capaci di risolvere le storture che anche la pandemia ha evidenziato. Salvo ribadire le politiche neo-liberiste che hanno condotto alla drammatica condizione odierna: gli strumenti finanziari a disposizione faranno ancora riferimento alla Banca Mondiale, al di fuori quindi da ogni controllo democratico. Per evidenziare che alternative al G20 esistono, oltre al seminario femminista di oggi e domani, sono previste mobilitazioni ed assemblee il 30 ed il 31 ottobre.
Relatrici della prima sessione:
Nandita Shah -dall'India - co-direttrice di Akshara, Women's Resource Centre, una delle più grandi Associazioni/Ong a Mumbai che si occupa di emancipazione di donne e ragazze.
Meriem Zeghidi Adda - dalla Tunisia- militante femminista e operatrice culturale e Coordinatrice del Centro d'ascolto per le donne vittime di violenza dell’ATFD - Association Tunisienne Femmes Democrates.
Amel Hadjadj - dall'Algeria- difensora dei diritti umani,attivista dell’Association féministe algérienne, e del movimento “Kif Kif” che promuove i diritti delle persone LGBT+ e opera per la realizzazione dell’eguaglianza dei sessi in Algeria.
Aslihan Chakaloglu -dalla Turchia - coordinatrice di United Women for Equality and Freedom (UWEF, affiliata a WIDF ), organizzazione multietnica femminista per i diritti produttivi e riproduttivi delle donne.
Mona Al Ghussein - Palestina/GB- Scrittrice, giornalista, documentarista. Vice presidente di British Muslims for Secular Democracy (BMSD). Coautrice del libro Feminine Power.
Tiffany Jones-Smith - USA- presidente della Texas kidney Foundation. Conduce TAAN TV, the African American Network
Nadjezhda Azhgihina- Russia- Giornalista, direttora di PEN Moscow. Parte della Russian Writers Union e board member of "Article 19". Attivista per diritti di giornalisti e libertà di stampa; cultura e politiche di genere.
Simona Grassi -Italia- attivista della Campagna internazionale "No profit on pandemics"
Maura Cossutta - Italia- Presidente della Casa internazionale delle donne a Roma. Laurea in medicina e chirurgia, per anni ha esercitato la professione di medica ematologa. Deputata nel Parlamento italiano dal 1996 al 2006
Heidi Meinzolt - Germania- Fa parte dell' esecutivo della Lega Internazionale delle donne per la Pace e la libertà/ WILPF/ responsabile per la cooperazione europea-
Judith Morva - Ungheria- economista in pensione, editrice della versione ungherese di "Le Monde Diplomatique" on line
Nora García - Spagna- Coordinatrice Gruppo femminista della "Asamblea de los pueblos" rete transnazionale per i diritti e l'indipendenza dei popoli.
Rosy Zuniga - Messico- Segr. Gen. Consiglio di Educazione Popolare di America Latina e Caribe (CEAAL) . Attivista per il Forum Sociale Mondiale che quest'anno si terrà in Messico
Ada Donno - Italia- Casa delle donne di Lecce. Ufficio Europeo delle Federazione Democratica Internazionale delle Donne. Attiva nella Associazione Donne della regione Mediterranea (AWMR)
Ingrid Beck - Argentina - giornalista, scrittrice. Ha diretto la prima scuola di giornalismo con indirizzo arte, cultura e spettacolo, TEA Arte. Con altre giornaliste argentine, ha promosso il movimento Ni una menos.
SECONDA SESSIONE
Quali sono le possibili alternative per la trasformazione? - Sfide femministe
Introduzione di Samanta Picciaiola - Italia - Presidente dell’Associazione Orlando. Maestra di scuola primaria dal 2005. Laurea in filosofia e successivamente Dottorato di ricerca internazionale in Estetica presso l’Università La Sorbonne Paris IV. Coordina il gruppo scuola e formazione dell’Associazione Orlando.
Moderatrici (Italia):
Maria Grazia Ruggerini - Socia fondatrice di Le Nove studi e ricerche. Dagli anni 90 si occupa, con assoc. di donne del Maghreb, di diritti di cittadinanza, lavoro produttivo e riproduttivo, violenza maschile contro le donne
Paula Beatriz Amadio - Laureata in scienze politiche ed economia. Lavora su orientamento al lavoro e inserimento lavorativo delle persone a rischio di esclusione sociale. Attivista femminista. Cofondatrice della Rete Femminista marche Molto +di 194. Fa parte del gruppo Femm della società della Cura.
Una delle prime parole che la pandemia ci ha consegnato è cura come paradigma relazionale e modello sociale da realizzare attraverso nuove pratiche di partecipazione diretta alla gestione delle risorse e dei beni comuni. La parola cura, si è precisato nella introduzione a questa seconda sessione focalizzata soprattutto sulle pratiche e le iniziative di lotta delle donne, rappresenta un crocevia e un terreno di lotta: dalla manifestazione del 25 settembre a Roma promossa dalla Casa Internazionale con altre realtà femministe all’Agenda politica di donne elaborata a Bologna. Il mondo attraverso la lente della cura appare più variegato e complesso rispetto a quanto il nostro sguardo pre Covid sapesse cogliere. Essere ammalate di Covid come donne, magari migranti, magari responsabili di un nucleo familiare non può essere la stessa esperienza di malattia di un uomo cisgender bianco in un paese occidentale. Attraverso le pratiche di cura assume forza la rivendicazione della fragilità come condizione umana e come indice del benessere sociale di cui il soggetto pubblico dovrebbe farsi carico. La pandemia fa emergere i limiti strutturali e contestuali di alcune funzioni pubbliche del welfare, del sistema sanitario ma anche di quello educativo Le donne hanno avuto un ruolo fondamentale nel sorreggere entrambi questi apparati. Ciò ha fatto sì che aumentasse il loro carico di lavoro. Dentro questa morsa le donne hanno sperimentato forme di neo-mutualismo, pratiche solidaristiche che sono diventate modelli alternativi di governo delle comunità. Per l’Italia si può ricordare Lucha y Siesta, la Casa Internazionale delle Donne (Roma), il Centro di documentazione, ricerca e iniziativa delle donne (Bologna), ma anche le esperienze di Lecce, Milano e le Case e i Centri antiviolenza che hanno agito per portare assistenza e cura. A fronte di questo rinnovato protagonismo delle donne c’è stata una risposta debole e tardiva delle politiche istituzionali anche a livello internazionale: una inerzia a recepire il necessario salto di paradigma. I movimenti femministi su scala mondiale chiedono una riconversione produttiva orientata a economie della cura che rigettano l’approccio neocolonialista e cassano le spese per gli armamenti, riproponendo come strumenti di democrazia la diplomazia, l’ascolto e la condivisione delle responsabilità.
Molti interventi hanno condiviso, partendo da realtà specifiche anche profondamente diverse fra loro, un comune significato attribuito alla cura che non può appartenere alla sola dimensione personale e privata bensì a quella collettiva, di territorio (Casa Donne Milano). La cura deve diventare circolare, orizzontale, al di fuori dello schema fruitori/erogatori, a rotazione qualcuno dà e riceve. Solidarietà, mutualismo, scambio per mettere in circolo energie, saperi, oggetti facendo fiorire altre economie ed altri circoli virtuosi. Il sistema economico ha reso la cura una merce mentre dev’essere un bene comune, uno spazio pubblico, una pratica, un principio organizzativo. Se parliamo di cura – hanno precisato le traduttrici del “Manifesto della cura” - abbiamo bisogno di mettere a critica il concetto stesso in questo contesto d’incuria, per prendere le distanze da quella cura patriarcale, improntata al rapporto di cura materna che dualizza e infantilizza, restando confinata nello spazio domestico privato, riferito alla sola sfera riproduttiva, mentre in quello pubblico la cura è inesistente o quando c’è ricalca lo schema materno. Si tratta d’iniziare ad accettare la nostra costitutiva vulnerabilità e la nostra interdipendenza. Nessuno risponde ai bisogni di cura da solo.
Il tema della cura è importante per il femminismo, per parlare di politica e per fare politica. In Spagna non si riescono a vedere progressi sufficienti per le donne. La destra nega la violenza di genere. La società retrocede. Molte conquiste stanno tornando indietro anche se il movimento femminista cerca di resistere.
All’interno di una grave crisi politica ed economica è arrivata la pandemia in un paese che non ha protezione sociale, lamenta una bassa percentuale di popolazione vaccinata e soffre per la mancanza di cure sanitarie (Libano). Nel corso di una crisi che colpisce il lavoro e i salari, giungendo sino alla mancanza di cibo ed energia elettrica, le donne libanesi subiscono ulteriori discriminazioni dovute alla religione, alle violenze, ai matrimoni precoci. Una piaga - quella dei matrimoni precoci e forzati - che rientra in un sistema di controllo delle vite femminili, di privazione della libertà di avere accesso all’istruzione ma anche a internet, un tentativo di negare loro di avere voce (Iraq).
L’aggravarsi di condizioni di vita già difficili per le donne - a maggior ragione se migranti - riguarda anche l’Europa là dove le restrizioni imposte dal Covid-19 e il collasso della sanità fanno sì che ora “siamo prigioniere nel nostro paese” (Grecia). Le persone hanno perso il lavoro, aumenta il lavoro nero, cresce la violenza. Le donne vivono maggiormente la crisi occupazionale, lavorano a casa, prendendosi al tempo stesso cura della famiglia. Aumenta la violenza domestica determinata anche dalla convivenza (forzata) tra donne e uomini maltrattanti. Tutto questo però sta portando al tempo stesso ad una crescita del movimento femminista che si pone a fianco delle donne vittime di violenza, offrendo loro concreto sostegno contro l’abuso.
Sempre in Europa e sempre sul corpo delle donne un governo di destra fondamentalista (Polonia) limita la libertà femminile cercando di imporre una legge contro ogni tipo di aborto, permettendo che sia minacciata la stessa vita delle militanti, soprattutto di quelle che vogliono continuare a costruire democrazia, a imporre il rispetto dei diritti umani anche offrendo servizi gratuiti sanitari e psicologici affinché l’interruzione di gravidanza sia accessibile a tutte le donne che la scelgono.
Crisi della cura e crisi ambientale si richiamano con forza, come molti interventi hanno sottolineato. Ambiente e genere sono interconnessi e dobbiamo guardare in modo critico a questo intreccio. Essere stata testimone di alberi giganti che cadevano, pesci e animali che scomparivano porta ad essere necessariamente eco-femminista, arrabbiata. L’Africa sta bruciando, ci sono famiglie che soffrono, l’economia è distrutta anche per l’impatto che il Covid ha sulle comunità e, all’interno di queste, ancor più sulle donne povere (Sud Africa). Il lavoro delle contadine diviene invisibile perché è letto come semplice aiuto al marito, in un contesto di diseguaglianze di genere accentuate da questa pandemia, gestita in modo disastroso dal governo (Brasile). Eppure le donne producono gli alimenti, salvaguardano i semi, possono avere la forza di rompere la dicotomia produzione - riproduzione.
Oltre tre ore di comunicazioni e dibattito non sono state limitate alla narrazione e all’analisi critica della situazione mondiale attraverso flash dai diversi paesi e continenti, ma hanno cercato di raccogliere anche e soprattutto le pratiche politiche, le forme e gli strumenti di lotta, le sfide femministe orientate ad un cambiamento radicale della vita quotidiana. Infatti parlare di cura vuol dire parlare al tempo stesso, necessariamente, di una nuova economia, una nuova ecologia, una diversa visione del mondo. Perché la crisi della cura è anche crisi ambientale. Abbiamo bisogno di un altro mondo, rispettoso dell’ambiente, anticapitalista. Un mondo depatriarcalizzato. La prospettiva femminista è agire in maniera proattiva, connettere gli spazi, i luoghi d’incontro, curare le relazioni in un’ottica di sostenibilità ambientale, alimentare ed economica. Una politica delle donne che le veda partecipi del governo della città. Fondamentale è riannodare le relazioni personali e sociali interrotte dalla pandemia, affrontare la crisi del lavoro femminile, della conciliazione dei tempi di vita tra sfera produttiva e riproduttiva, del lavoro di cura non retribuito delle donne, riorganizzare i servizi in maniera diffusa, progettare una città sostenibile e plurale. La cura della città come modello culturale e di governo che esce dalla casa, per questo dobbiamo dotarci di spazi, né pubblici né privati, dove poter entrare in relazione in modo da ridistribuire il carico asimmetrico del lavoro di cura. Sono i beni comuni che ci permettono di ridisegnare lo spazio pubblico e le relazioni tra le persone, a partire dai gruppi di mutuo aiuto e d’acquisto solidale (Traduttrici del "Manifesto della cura).
Una pratica di azioni partecipate - illustrata dall’Associazione Orlando - volta a costruire relazioni che possono fare la differenza con una presenza politica delle donne nella prospettiva di agire per e nella città come soggetto politico femminile che partecipa al governo della stessa. Connettere gli spazi, i luoghi d’incontro, curare le relazioni in un’ottica di sostenibilità ambientale, alimentare ed economica. Si tratta di ricomporre una città che appare frammentata, riannodare le relazioni personali e sociali interrotte dalla pandemia, affrontare la crisi del lavoro femminile, della conciliazione dei tempi di vita, riorganizzare servizi diffusi, progettare una città sostenibile e plurale. La cura della città come modello culturale e di governo che esce dalle case.
Nonostante la gravità della situazione, economica, sociale, ambientale delineata - con le dovute differenze nei diversi paesi e continenti - non ci si ferma al pessimismo o allo sconforto. Le strategie di lotta narrate e proposte rimandano fiducia nella forza delle donne, ancor più in quelle del Sud del pianeta là dove c’è coscienza del ruolo fondamentale che esse svolgono per risolvere i problemi a livello nazionale e transnazionale. A partire dalle donne contadine che producono gli alimenti, fattore essenziale per la sopravvivenza dell’umanità (Sud Africa). Prendendo spunto dalla consapevolezza delle differenze Nord Sud del mondo, del patriarcato, del razzismo si può costruire una più forte solidarietà con l’obiettivo di dar vita ad una società egualitaria, capace di affrontare le sfide quotidiane. Anzi, si tratta di approfittare di questo momento per una nuova alleanza, per reinventarci, organizzando azioni di solidarietà come le reti alimentari di sostegno alla vita economica e sociale, contro il capitalismo che minaccia la vita delle/dei singoli e collettiva, individuando una strategia di rivendicazioni convergenti (Brasile). La fiducia nasce anche da esperienze consolidate come quella del Ruanda dove, attraverso un percorso di resilienza, le donne hanno cambiato la storia.
C’è convergenza anche tra lotte specifiche delle donne e quelle più generali per la democrazia come sta accadendo in Tunisia dove, dopo la Rivoluzione dei Gelsomini che ha messo fine ad una dittatura decennale e inserito il femminismo nella stessa Costituzione, negli ultimi tempi il movimento delle donne è sceso in piazza, oltre che per opporsi alla grave disoccupazione femminile e alle discriminazioni contro le donne a partire dalla legge sull’eredità, anche per la libertà di espressione dei giornalisti.
E pure là dove in questo momento la situazione è particolarmente difficile per la stessa sopravvivenza, il movimento delle donne continua a combattere i matrimoni precoci, cercando di proteggere le bambine nell’intento di unire le persone che vogliono operare per il cambiamento. (Libano).
Anche le donne curde sono profondamente convinte che il loro ruolo debba essere differente da quello voluto dal patriarcato. Per questo si sono riappropriate della propria storia, creando un movimento femminista volto a ridisegnare una società in cui la donna deve essere presente in co-rappresentanza in ogni settore della società, dalla politica all’istruzione alla sanità (per esempio in un ospedale presenza di dirigente uomo/dirigente donna). La difesa delle donne non può venire delegata all’uomo, per cui è necessario una militanza attiva femminile anche armata. La rivoluzione del Rojawa è fatta anche dalle donne in prima persona per dare un messaggio di rivoluzione femminista a tutto il medio oriente.
Spesso le donne sanno individuare le soluzioni, come accade per le irakene, ma serve un processo a partire dalla inclusione delle giovani nella presa di decisione. In Irak le donne potrebbero fare molto se non fossero dentro un sistema patriarcale che le sottomette e avessero invece l’opportunità di partecipare di più e avere maggiore voce in capitolo.
Operare in un’ottica collettiva non vuole tuttavia dire dimenticare la soggettività. Si parte dalle singolarità nella consapevolezza che le storie delle donne permettono di cogliere la sapienza femminile da cui deriva la forza per andare avanti, per costruire comunità e imparare le une dalle altre, nella prospettiva di recuperare “la nostra cultura” non per rimanere come siamo, ma per cambiare le stesse leggi. (Israele Palestina).
Guardando all’esperienza della Women’s March si è appreso che bisogna seguire il mutare della situazione politica per coglierne i momenti forti, in un’ottica di femminismo intersezionale, come si è verificato nel passaggio dalla lotta contro la mascolinità tossica di Trump alla convergenza e al contributo che la Women’s March ha saputo dare sia al movimento Me Too sia a Black Lives Matter.
Video 1,5 minuti sulla Women's March a Roma del 2018
Relatrici della seconda sessione:
Fernanda Minuz – Italia Docente. Ricercatrice e formatrice di insegnanti. Si occupa in particolare di insegnamento in contesti migratori e per adulti non scolarizzati.
Marta Lempart - Polonia Attivista per i diritti delle donne e la democrazia. Fondatrice del movimento Ogólnopolski Strajk Kobiet (Osk, Sciopero delle Donne Polacche). Collettivo che il 3 ottobre 2016 ha organizzato manifestazioni in oltre 150 città polacche in segno di protesta contro la proposta di legge antiabortista e che è scesa in piazza anche nel 2018, l’anno scorso e quest’anno, dando luogo ad una lunga mobilitazione nazionale seguita dai media internazionali.
Anna Maria Iatrou - Grecia Promotrice con altre dell'iniziativa di donne contro il debito e le misure di austerità / Casa delle donne di Salonicco
Marie Moise e Gaia Benzi - Italia Attiviste, redattrici della rivista Jacobin Italia e traduttrici del "Manifesto della cura. Per una politica dell'interdipendenza"
Lorena Garrón Rincón - Spagna Consigliera del consiglio comunale di Cadice per i femminismi e LGTBI. Attivista femminista. Dirige, promuove e controlla le azioni comunali per garantire una reale parità di trattamento, opportunità e risultati tra donne e uomini, la non discriminazione e il rispetto della diversità sessuale e di genere in tutte le aree della città
Yasmine Falah - Iraq Attivista e difensora dei diritti umani. Fa parte della Iraqi Civil Society Solidarity Initiative. Con video.
Floriana Lipparini - Italia Giornalista, Casa delle donne di Milano. Referente per Città Bene Comune e Rete No-muri-no-recinti. Autrice di "Per altre vie. Donne fra guerre e nazionalismi"
Mazè Morais - Brasile - Segretaria lavoratrici rurali nella Confederazione Lavoratori Agricoli (CONTAG). Nel 2019 ha coordinato il 6 marzo la Marchas de las Margaridas, la più grande mobilitazione realizzata dalle donne delle campagne, delle foreste e delle acque.
Hazal Koyuncuer - Kurdistan turco attivista per UIKI, l'Ufficio di informazione Curdo in Italia. Recentemente bloccata con una delegazione italiana mentre si recavano da Istanbul a Erbil (Iraq)
Hanin Tarabay - Palestina attrice e storyteller, formatrice. Vive ad Haifa dove organizza seminari con donne palestinesi sulle questioni diritti, giustizia, libertà. Attualmente in Italia per workshop con il Teatro dell' Oppresso.
Dorra Mahfoud - Tunisia Sociologa, professoressa emerita all’Università di Scienze Umane e sociali di Tunisi , militante femminista, tra le fondatrici dell’Afturd Association des Femmes Tunisiennes pour la Recherche sur le Développement.
Marie Debs - Libano professora all'Università Libanese e componente dell' “Economic and Social Council in Lebanon” (ECOSOC). Association Egalité-Wardah Boutros pour l'action feminine. Si batte per la l'attuazione della Convenzione CEDAW in Libano.
Elizabeth Farren - USA/Roma Nata a New York, a Roma dal 2002. Attivista. Tra le fondatrici in Italia della Women's March, nata nel 2016 negli Stati Uniti come protesta spontanea, a cui parteciparono 6 milioni di persone, dopo l"elezione del presidente Donald Trump. La Women's March è si effettua in diverse città del mondo.
Mercia Andrews - Sud Africa Cresciuta in una famiglia di braccianti agricoli. Ha insegnato a Città del Capo dove vive. Dirigente della Rural Women Assembly - rete di associazioni di contadine Sud Africa, attiva in diversi paesi del continente; per la protezione delle sementi coltivate, nella promozione di modelli agricoli alternativi e nella salvaguardia della biodiversità.
Francoise Kankindi - Rwanda/Italia Nata già profuga in Burundi, dove il padre si è rifugiato per scampare ai massacri del 1959. Vive a Roma dove lavora a Poste Italiane. Presidente della Associazione onlus Bene-Rwanda (figli del Rwanda) che ha gli obiettivi di conservare e valorizzare la memoria del genocidio del 1994 e di promuovere gli strumenti per riconoscere la “cultura del genocidio” nella sua genesi